9. Mario

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Merda. Cazzo. Merda.

Un coglione sono. Ecco cosa sono.

Devo essermi fottuto il cervello con l'ultimo attacco di ansia perché non trovo altra spiegazione a questo mio crollo psicologico nei suoi confronti. Perché Cristo?!? Io lo Odio! L'ho odiato dal primo sguardo e ora non posso ritrovarmi a fare quello con le gambe molli e il cuore di panna pronto a sciogliersi sotto un suo sguardo.

Devo essere in grado di ricompormi, di ridefinire i miei contorni e segnare con un pennarello indelebile i miei limiti e confini.

Sono pronto a farlo. Adesso. E sto per prendere in mano quel dannato pennarello quando sento il trillo di un messaggio.

"Pensavo... Hai ancora voglia di accompagnarmi a sentire l'organo? C'è un funerale tra mezz'ora!"

Fisso lo schermo in attesa che arrivi un secondo messaggio dove mi dice che sta scherzando ma dopo un minuto che è online, non ha ancora scritto niente.

Cazzo, se io vedo che è in linea, lo stesso vedrà lui.

Quindi è passato un minuto buono e io devo ancora rispondergli. Merda.

"Ok"

Invio. Cioè, capite? Ho scritto ok e ho inviato.

Se ora mi vedesse Amanda non smetterebbe più di prendermi per il culo. E non posso che darle ragione.

Mi guardo attraverso il vetro della porta. Indosso uno dei miei abiti migliori come se questa mattina nello scegliere il vestito sapessi già che lo avrei visto.

Smettila, mi dico. Ma è tutto inutile.

Devo scopare. Assolutamente.

Lancio un'ultima occhiata alla mia figura e poi infilo la porta per uscire.

Cammino tra la gente cercando di svuotare la mente il più possibile, cercando di eliminare lui dalla mia testa. Ma farlo richiede molta energia, energia che ora non possiedo.

Quando arrivo alla Cattedrale salgo i gradini di corsa, come se fossi in ritardo alla funzione. Gli occhi dei parenti del defunto mi osservano senza dire niente e io, in un discreto silenzio, vado a sedermi in una delle ultime file di panche, sperando che lo stronzo mi veda e mi raggiunga.

Sto sfogliando il libro dei canti assorto in alcune strofe, quando accanto a me vedo un paio di mocassini opachi e un paio di pantaloni neri affiancarsi ai miei.

Quando alzo lo sguardo i nostri visi sono addirittura troppo vicini, tanto che i respiri si mescolano diventando nostri.

Ed è in questo momento che mi ricordo che mi sono dimenticato di usare il pennarello.

Ingoio la saliva che si era accumulata nella mia bocca e vedo il suo sguardo scendere sul mio collo mentre il mio pomo d'Adamo va su e giù, per poi ritornare nei miei occhi.

Rimaniamo in silenzio a fissarci mentre attorno a noi la chiesa si riempie, ed è solo quando la celebrazione ha inizio che trovo il coraggio per parlare.

"Pensavo scherzassi sul funerale" gli dico per stroncare quel vuoto tra di noi.

"Pensavo rifiutassi infatti" mi dice lui sogghignando.

"Si beh, non avevo niente di meglio da fare" cerco di sminuire questo nostro incontro che sa di frutti rossi, ma anche di limoni.

"Si beh, ovvio. Non mi aspettavo niente altro da te" mi fa il verso lui e se anche che una parte di me continua a ripetermi di smetterla di comportarmi di merda, mentre l'altra parte vuole continuare a mantenere le distanze.

Rimaniamo in silenzio non appena l'aria che passa dalle canne labiali va a infrangersi contro la fenditura d'uscita, riversando nell'aria attorno a noi le note armoniche che genera l'organista.

E questo suono riesce a rilassare ogni mio muscolo, lasciando per un po' sospeso tra di noi le nostre lingue affilate, pronte a darci battaglia non appena cesserà la melodia.

Perché è proprio così che va tra di noi. Perché entrambi vogliamo avere l'ultima parola e perché a nessuno dei due piace perdere.

Eppure il bisogno che ho anche solo di sfiorarlo, mi scivola nelle vene come un veleno insistente, come se fossi un drogato in astinenza.

Con nessun ragazzo prima d'ora c'era mai stato questo bisogno assoluto di contatto, con nessuno mi era mai presa così male. Ma questa volta, a quanto pare, è una cosa diversa.

E fa paura. Come non mai.

Resto a pensare mentre l'organo continua a fasciare i nostri pensieri, indeciso sul da farsi.

Ma se c'è una cosa che so di me, è che amo rischiare e che non mi sono mai tirato indietro davanti ad una sfida, per cui perché dovrei iniziare a farlo ora?

Perché dovrei avere paura di bruciarmi se non so nemmeno quanto sia esteso questo fuoco?

Prendo un respiro e poi lo faccio.

Faccio scivolare la mano che ho in grembo di lato e basta così poco per sfiorarlo che potrebbe sembrare un gesto del tutto casuale se non fosse che poi il mio palmo sale lungo la sua coscia ad accarezzarlo. Sento i suoi nervi tendersi sotto il mio tocco e noto con la coda dell'occhio le sue spalle farsi più dritte.

Ed è appena la musica cessa di suonare che mi avvicino a lui e gli sussurro un usciamo? al suo orecchio.

Non aspetto che mi risponda, mi alzo ed esco.

E con tutto me stesso spero mi segua.

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