13. Mario

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Chiudo la cerniera del trolley, recupero l'abito per la cerimonia che ho lasciato nel sacco della lavanderia per non rovinarlo ed esco di casa con in faccia un sorriso sardonico.

Quando parcheggio davanti al negozio, lui è già fuori che mi aspetta con un aria ancora assonnata. E vederlo così mi fa salire i brividi lungo la schiena al solo pensiero che per una intera settimana quei suoi occhi offuscati, saranno il mio buongiorno personale.

L'impronta che ha lasciato sulla mia guancia è come un marchio indelebile e la sfida si è fatta più tosta di quel che credevo dato che anche lui ha deciso di mettersi in gioco al posto di tentare la fuga, portando questo nostro divertimento a livelli più competitivi.

Scendo dalla macchina e gli vado incontro. Avvicino il mio viso al suo e appoggio la mia guancia alla sua, lasciando un bacio lieve, quasi silenzioso accanto al suo orecchio, per poi soffiare un filo di fiato solo per il gusto di provocargli dolore.

"Sei pronto per questa nostra avventura?" gli chiedo mentre gli sfilo la valigia dalla mano per caricarla nel baule.

"Non ho dormito bene e devo ancora fare colazione per cui al momento sono un po' irritabile" mi sento dire mentre sistema il suo abito accanto al mio. Come se abitualmente lo stronzo fosse una rosa delicata.

"Se vuoi ti faccio compagnia con un caffè".

Saliamo in auto e mentre faccio manovra per immettermi in strada lo sento sbadigliare. Mi volto a guardarlo "Hai delle fauci al posto della bocca" e subito dopo averlo detto sento il mio sesso tirare per l'idea di quello che potrebbe farmi con quelle sue labbra. Maledizione.

"E' fame!" si giustifica lui "Non lo sai che si sbadiglia anche per questo?"

Rimango un po' perplesso ma decido di non indagare questa sua teoria. "C'è un bel locale appena fuori città" e proseguo con quello che gli interessa al momento.

"A me non interessa che sia bello il locale, io voglio qualcosa dove si mangia. Quando sono arrivato ho visto una specie di drive in vicino all'aeroporto".

Lo guardo con la faccia schifata perché non può aver detto sul serio di voler andare in quella bettola, ma lui per tutta risposta mi guarda assottigliando gli occhi, pronto ad attaccare se solo provo a contraddirlo e fanculo. Cazzi suoi. Io berrò solo un caffè.

Parcheggio l'auto dopo dieci minuti, scendiamo ed entriamo.

E solo l'odore mi va salire il vomito. L'unica cosa positiva è che tutto sommato sembra pulito, o forse è solo perché sono le sei di mattina. Ancora troppo presto per la vera clientela.

"Uova strapazzate, salmone, cetrioli. Una spremuta e un caffè per me" dice alla cameriera che nemmeno prende nota sul taccuino che tiene in mano. "Tu sicuro solo un caffè?" mi chiede e sembra anche gentile, ma immagino sia solo perché il sonno lo fascia ancora stretto.

"Si, grazie. Ho fatto colazione a casa". Perché col cazzo che mangio qualcosa di cucinato qua dentro. Ci vuole uno stomaco di ferro per tenere tutto dentro!

Lo lascio mangiare in un silenzio quasi totale, intervallato solo da qualche mio com'è? riferito al cibo e al suo buonissimo, mentre lo guardo quasi incantato.

Quando risaliamo in macchina pronti per il vero viaggio sembra più sveglio e vigile, e lo noto dal fatto che uscendo dal locale mi appoggia una mano sul culo per aiutarmi ad uscire. Maledetto.

Sette ore respirando la stessa aria in un piccolo spazio. Non so come arriverò.

Dopo due ore di strada ho smesso di contare quante volte abbiamo litigato per delle stupidaggini. Primo tra tutti la musica da ascoltare e sulle sue performance, tra l'altro pessime, di canto.

Dopo un quarto d'ora in cui se n'è rimasto in silenzio, inizio a preoccuparmi, dato che per quattro ore non ha fatto altro che parlare. "Stai bene?" gli chiedo scherzando.

"No" mi dice serio lui. E quando mi volto a guardarlo, lo vedo bianco cadaverico.

"Hei! Cos'hai?" mi preoccupo.

"Quanto manca?" mi chiede invece lui.

"Tre orette più o meno. Ma stai male?" perché sul serio ora lo voglio sapere.

"Penso che la macchina mi abbia fatto male" si decide a dirmi. E vorrei ucciderlo perché sul serio non poteva sparare stronzata più grande. "Ma se è tutta strada dritta!" gli dico esasperato.

Perché lo è sul serio. In Finlandia esistono pochissime strade e nessuna curva!

"Beh, magari sei incapace di guidare anche sulla strada dritta!" mi fa il verso lui. Ma prendo un respiro profondo e al posto di rispondergli male, decido di ignorarlo, chiedendogli di nuovo come si sente.

"Credo che avrò bisogno di un bagno nel più breve tempo possibile" e nella sua voce sento la nota della vergogna, quella emozione che non vorresti mai svelare se fossimo ad un primo appuntamento. Ma noi non siamo fatti per gli appuntamenti per cui decido di fingere di non aver notato nulla e gli rispondo a tono come ho sempre fatto.

"Tesoro. Qua l'unico cesso che vedrai sarà quello che ha fatto madre natura!" e poi rido. Perché non ce la faccio a trattenermi davanti alla sua faccia orripilata.

"Dimmi che stai scherzando!"

"Purtroppo no".

Rimane in silenzio, non mi chiede altro, ma quando sento il suo stomaco incazzarsi, spero con tutto me stesso di non ricordare male dell'esistenza di un bagno a bordo strada fatto di legno con una buca al posto delle tubature, non lontano da dove siamo.

Quando lo vedo in lontananza, quasi sospiro di sollievo come se a doverlo usare fossi io.

Accosto la macchina e ancora prima di spegnere il motore lo vedo aprire la portiera, ma prima di chiuderla lo vedo accucciarsi dentro l'abitacolo verso di me "Guai a te se scendi" mi intima "e se ti sento ridere". Ha il coraggio di dirmi.

Col cazzo. Ti prenderò per il culo a vita!

Abbasso il finestrino e mentre lui sta cercando di chiudere quella porta sbilenca, gli urlo dietro "Salutami la colazione!" e poi rido. A bocca aperta. Di gusto.

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