49. Mario

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Sono seduto sulla sedia della mia scrivania, nel mio ufficio. Davanti a me un'agenda aperta e una data cerchiata, quella della sua partenza. Dovrei organizzare gli ultimi dettagli di alcuni matrimoni, ma la testa e il cuore sono stati completamente rapiti dalla canzone che stanno passando alla radio. Era tantissimo che non la sentivo e i brividi che fa correre lungo la mia schiena per poi propagarsi sul mio corpo, sono scariche elettriche che mi ricordano cos'è l'amore vero.

Continuo a fissare quel cerchietto e ripenso a tutto quello che ho fatto in questo ultimo mese.

Dai caffè che gli ho portato al negozio, al seguire alcuni suoi movimenti per poi farmi trovare per caso nello stesso posto. Ai messaggi, alle chiamate. Ai pranzi condivisi al bar. Agli aperitivi durante qualche cerimonia. Alle occhiate profonde, ai gesti sfiorati e a quelli mancati. Alle pacche sulla spalla e alle risate sempre più frequenti. Al cercare di riportarlo a me senza però nessun risultato.

E' come se improvvisamente il mare avesse litigato con la sabbia della spiaggia, mantenendo le distanze con la bassa marea per non volerla più incrociare.

Questi eravamo noi: io la sabbia e lui l'acqua che, senza spiegazione, continuava a indietreggiare, senza mai volermi incontrare.

L'unica differenza era che noi ci vedevamo e ci sentivamo, ma era come se tra di noi lui mantenesse le mani tese in avanti come a voler bloccare ogni mio affondo.

E più ci provavo e più lui si ritraeva.

Per tutto questo tempo sembrava che ogni cosa che facevo, non fosse mai abbastanza per convincerlo a tornare. Ma forse la verità è che lui di me non ne vuole più sapere e alla fine non tornerà mai da me e alla vita che condividevamo prima. Forse doveva andare così, o forse ho solo sbagliato io.

Il problema però è che ora io sono completamente innamorato di lui e tutta questa sua ritrosia me lo fanno desiderare ancora di più, ma ammetterla a voce alta per me è ancora difficile.

La paura di quello che ho vissuto non se n'è andata e il timore che possa tornare anche sotto solo una forma, mi fanno desistere dal dichiararmi a lui.

Chiudo l'agenda con un tonfo e poi mando al diavolo tutti i miei lavori. Prendo la giacca ed esco.

Ho voglia di vederlo.

E me ne frego se lui non vorrà.

I miei piedi ormai conoscono a memoria la strada da percorrere e potrei giurare di vedere sull'asfalto i segni di ogni mio passaggio. E non appena arrivo a svoltare l'angolo che mi divide dal suo negozio, indosso il mio miglior sorriso, per poi perderlo pochi attimi dopo, quando davanti all'entrata non vedo nessuna pianta a decorare il marciapiede. Mi avvicino con un passo più svelto e non appena arrivo davanti la porta leggo un cartello scritto a mano con solo scritto Chiuso.

Cosa vuol dire che è chiuso?

Lo chiamo ma il cellulare suona a vuoto e di lui nemmeno la segreteria che mi chiede di lasciargli un messaggio.

Merda.

Alzo gli occhi al suo appartamento. Non sono più entrato a casa sua ma se magari sta male e ha bisogno di qualcosa posso dargli una mano. Peccato che anche i balconi siano tutti chiusi. Suono lo stesso. Nessuna risposta.

Cazzo.

Suono a Georgina.

"Chi è?"

"Giorgi sono Mario!"

"Ciao tesoro. Sali?"

Salgo. Di corsa.

Lei mi aspetta sulla porta e solo ora mi rendo conto che è da un pezzo che non passo a salutarla, sebbene Amanda mi parli spesso di sua madre.

"Vuoi un caffè?"

"No, scusa. Cercavo solo Claudio!"

"Oh! Io so solo che è tornato a casa, ma so che ha parlato Amanda con lui" mi dice lei sorridendo dolcemente.

Chiudo gli occhi e li stringo forte per non insultare Ama davanti a sua mamma e quando li riapro la sua espressione è diventata preoccupata.

"Ci sono problemi?" mi chiede.

"No, no. Scusa ma devo proprio scappare ora. Ripasso per il caffè però!"

Le lascio un bacio sulla guancia e poi scendo le scale come una furia, diretto verso casa.

Quando apro la porta l'agitazione che mi possiede è ai massimi livelli e sembra che improvvisamente il mio corpo non conosca più la parola calma.

"Dov'è?" chiedo solamente, conscio che lei saprà benissimo a cosa mi riferisco.

Ma al posto di rispondermi lei alza le spalle, come se non gliene fregasse nulla.

Brutta stronza.

Le vado davanti, porto le mani ai fianchi per cercare di tenerle ferme, altrimenti correrei il rischio di prenderla per il collo e strozzarla.

"Dimmelo".

"Cosa te ne frega?"

"Dimmelo ho detto" urlo.

Lei si alza in piedi pronta a tenermi testa. "Dal suo ex".

E per un attimo rimango fermo senza niente da dire. Cosa vuol dire che è dal suo ex?

"Mi stai dicendo una cazzata". Perché non può essere. Per tutto questo mese mai una volta è spuntato fuori il suo nome o qualsiasi altra cosa che potesse farmi pensare a un loro ritorno.

"Se non mi credi, chiamalo".

"L'ho fatto ma non risponde" ammetto.

"E non ti sei fatto due domande?" vedo gli occhi che le bruciano.

Maledetta. Chissà da quanto aspettava di sputarmi in faccia tutto questo.

"Cosa sai?" chiedo infine, cercando di ritrovare almeno una calma apparente.

Ma in risposta non ottengo niente se non lei che torna a sedersi sul divano per riprendere in mano la rivista di fotografia che stava sfogliando al mio arrivo.

Mi accuccio davanti a lei e appoggio la testa sulle sue ginocchia. "Ti prego Ama" sussurro.

La sento sospirare ma alla fine appoggia nuovamente il giornale sul divano.

"Poco" ammette alla fine.

"Puoi dirmelo?" la guardo.

"So solo che si sono sentiti in questo periodo e che oggi tornava a casa".

"Altro?" chiedo quasi a supplicarla di dirmi qualsiasi altra cosa.

"No. Però se ti interessa ha il volo tra poco meno di un ora".

"E' ancora qui?" chiedo alzandomi in piedi di colpo.

"Presumo sia all'areoporto!"

Non dico altro. Riprendo la giacca ed esco di corsa.


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Canzone: Only Hope, Mandy Moore 

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