11. Mario

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Sento il suo respiro spezzarsi non appena giro la chiave nella toppa. Sento l'aria farsi più pesante e sento l'atmosfera farsi più tesa.

Ma sento anche i brividi di eccitazione che corrono lungo il mio corpo, sento i suoi occhi puntati sulle mie spalle e sento quella voglia irrefrenabile di andare lì e toccarlo.

Ma resto buono e calmo e cerco di comportarmi come un amico.

E' per questo che mi volto lentamente e quando i miei occhi incrociano i suoi, mi lecco le labbra con fare seducente, invogliandolo a guardare cosa si è perso oggi quello stronzetto.

"Quindi" inizio a parlare mentre mi passo una mano tra i capelli scompigliandoli un po' "non hai mai mangiato dal brasiliano in centro da quando sei arrivato?" butto lì mentre mi avvicino.

"Non sapevo nemmeno che ci fosse un brasiliano!" mi risponde osservando ogni mio gesto.

Mi avvicino al banco, scosto uno sgabello, mi siedo e inizio a tirare fuori le vaschette del take away.

L'odore della carne e delle sue spezie riescono a coprire il profumo di fiori che ci circonda, facendo brontolare la pancia del ragazzo che ho di fronte.

"Fame per caso?" lo guardo sorridendo mentre lui si colora per l'imbarazzo.

"Ho saltato il pranzo" mi sento dire mentre ancora lo sto guardando.

Non gli chiedo il motivo, mi piace immaginare che sia a causa mia e se così non fosse un po' ci resterei male, per cui continuo a scartare i vari involucri e inizio a metterli tra di noi.

Lo osservo mentre prende l'altro sgabello da sotto il banco per poi sedersi anche lui.

Vedo la stanchezza della giornata sul suo viso e subito dopo essermene accorto mi maledico per averlo notato. Cosa mi sta prendendo? Io non voglio storie, non voglio impelagarmi in situazioni strane e delicate. Quello che voglio io e che ormai sanno anche i muri, è solo scopare e poi andare a dormire nel mio letto, possibilmente da solo.

Ma essere di fronte a questo ragazzo, che affamato sta spulciando tutti i vassoi per vedere cosa ho portato, mi da la stessa euforia del dopo sesso.

E non va bene. Non va affatto bene. Ma per questa volta metto a tacere i miei pensieri e cerco solamente di godermi questa piccola parentesi per quello che è. Una serata all'insegna del divertimento. Nello specifico quello del gatto col topo. Dove in questo caso il gatto sono io e lui è il topo.

Sfilo uno spiedino da sotto i suoi occhi e con le labbra stacco un pezzo di carne con fare allusivo sotto i suoi occhi vigili. Dopo di che ne tolgo un altro pezzo con le dita e glielo offro a lui, avvicinando la mia mano alle sue labbra. "Assaggia, questo è strepitoso!" sussurro con la voce volutamente un po' roca. Lo vedo mentre dischiude le labbra e io gli avvicino il boccone ancora di più, e nel lasciarlo gli accarezzo quel pezzo di pelle che forma il suo sorriso.

Riprendo a mangiare come se quello che ho fatto fosse solo un gesto del caso e gli sporgo alcune vaschette per far cenare anche lui e se all'inizio è un po' restio, dopo un poco si ammorbidisce e inizia a essere meno composto e rigido, lasciandosi andare sopra questo nostro tavolo improvvisato.

"Come sei capitato in questa città?" gli chiedo per occupare questo nostro silenzio prima che i miei pensieri mi facciano compiere dei gesti troppo avventati.

"Ho letto un annuncio in rete e siccome ero in una specie di limbo, ho deciso di buttarmi e prima di cambiare idea avevo già chiuso tutta la mia vita in quattro scatoloni".

"Stai scherzando, vero?"

"Sulla mia scelta?"

"No, no. Sugli scatoloni! Come può starci una vita in solo quattro scatoloni? Perché a me sinceramente non basterebbe nemmeno un camion dei traslochi!"

E sorride. Di quei sorrisi che sono in grado di fermare il tempo. Di quei sorrisi che vorresti bloccare in una polaroid. Di quei sorrisi che ti fregano alla grande.

Riporto l'attenzione sul cibo e poi proseguo con le mie domande.

"E non hai lasciato nessuno a casa?"

Lo osservo mentre gira nel contenitore un pezzo di carne, prendendo tempo per digerire la domanda e per valutare se rispondermi, o meglio, cosa rispondermi, ma poi sospira e parla.

"C'era qualcuno, ma eravamo arrivati al capolinea già da un po'".

Pensavo mi avrebbe risposto che non c'era nessuno e non che se ne fosse andato per dimenticarlo.

"Mi spiace io..." e non mi lascia nemmeno finire la frase perché mi blocca subito appena inizio.

"Non dispiacerti per cose inutili. Te l'ho detto, era già finita da un pezzo, e se non fossi stato io a mettere un punto a quel capitolo, lo avrebbe fatto comunque lui. Ormai era solo questione di tempo".

"Lo ami ancora?" mi ritrovo a chiedergli. E non voglio nemmeno chiedermi o soffermarmi sul perché gli pongo questa domanda.

"Credevo di amarlo".

Credeva.

Ed è tutto racchiuso qui il suo dolore. Per il tempo sprecato, per le litigate inutili, per le notti di sesso che pensava servivano per ricucire un rapporto senza valore. Perché è sempre così. Per tutti. Ed è per questo motivo che io non voglio legarmi a nessuno. Almeno non corro nessun rischio, nessun dolore.

Restiamo a parlare ancora per il resto della cena, gli chiedo come si trova in questa città per il momento baciata dal sole e del caldo che per lui non è caldo. Mi chiede di Amanda e mi chiede di me.

Parliamo. Solo questo.

Ma mi rendo conto che a volte parlare con qualcuno è più intimo che finirci a letto.

Finiamo la cena tra delle risate e quando usciamo in strada, il sole illumina ancora i nostri passi.

"E' strano concludere una serata, dire buonanotte, con il sole ancora alto!"

E quanto vorrei dirgli che potrei rimanere con lui fino a quando non arriva la notte, ma quello che dico è altro. "Tra tre mesi rimpiangerai questi momenti".

Subito dopo gli accarezzo il viso con il palmo della mano e poi lieve scivolo giù lungo il suo braccio fino a sfiorare le sue dita. "Allora... buona notte" lo saluto.

"Notte" mi fa eco lui.

Faccio un passo indietro e poi un altro.

Lo guardo un'ultima volta e poi mi volto.

E se queste vibrazioni che mi corrono nelle vene riesce a farmele provare solo cenando assieme, non oso immaginare cosa accadrà quando lo sentirò dentro di me.

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