10. Claudio

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Lo vedo alzarsi ed uscire mentre la mia pelle, dove ha appoggiato la sua mano, vibra ancora di una energia strana.

So cosa vuole, non posso essere così coglione da non capirlo, e so anche che non è tipo che accetta un rifiuto.

E glielo leggo negli occhi non appena lo raggiungo all'aria aperta.

"Non ti piaceva la funzione?" gli chiedo innocentemente.

"Sono abituato ad altre atmosfere!" mi dice lui mentre con lo sguardo accarezza tutto il mio corpo.

E in questo momento vorrei tanto avvicinarmi a lui e spingerlo giù dalle scale della cattedrale. Perché la merdaccia mi ha appena messo in una situazione che avrei preferito evitare.

Perché solo io so quanto vorrei sbattermelo qua davanti a tutti ma se pensa che sarà così facile avermi si sbaglia di grosso.

Lui ha buttato sul tavolo la sua mano di carte, svelandomi quello che teneva nascosto, ma io non ho nessuna intenzione di svelargli la mia.

Lo guardo intensamente lasciandomi soffocare dal laccio nero dei suoi occhi mentre il cuore inizia a battere ad un ritmo più agitato riuscendo a scuotere ogni più piccola emozione che tenevo ancora nascosta, ma rimango inflessibile, convinto delle mie ragioni.

"Già, immagino! Quindi torni in ufficio?"

"Vieni con me?" dice lui con fare ammiccante.

Alzo gli occhi al cielo, è limpido e senza nessuna nuvola a interrompere la distesa azzurra che ci sovrasta.

"Uova di pettirosso" dico ad alta voce rendendomene conto solo quando riporto gli occhi su Mario e sul suo sguardo confuso "Il cielo" allora gli dico, "è dello stesso colore delle uova di pettirosso".

"E questo cosa centra con il mio invito?"

Eh!

"Ho del lavoro da fare" decido di dirgli allora, cercando di sviare il suo invito. Perché se lo seguissi so benissimo come andrebbe a finire.

"E ti è venuto in mente guardando il cielo?" chiede confuso.

"Più o meno. Sto lavorando con fiori azzurri per via di una baby shower!"

"Capisco" mi dice anche se non sembra per nulla capire il mio rifiuto a quella proposta sfacciatamente audace.

"Mi spiace" gli dico, perché Cristo! è vero che avrei goduto tantissimo nell'impalarlo ad un muro, ma non posso. Non voglio cedere. Non desidero diventare la sua ennesima scopata dimenticata.

Ma cosa mi passa per il cervello? Io non voglio essere una sua scopata, punto.

E' pazzesco quanto stronzo, quindi anche no.

Fanculo.

Lo saluto velocemente e poi scendo gli scalini di corsa, prima che abbia il tempo di fermarmi o di chiedermi altro. In pratica scappo.

Perché per quanto voglio pensare di essere forte, in realtà so di essere debole. E lui potrebbe diventare la mia più grande debolezza. Merda.

E lo capisco solo ora, mentre fuggo via. Perché fin dal primo istante che ho incrociato i suoi occhi strafottenti, sono rimasto impantanato con entrambi i piedi nelle sabbie mobili e ora più mi muovo, più cerco di evitarlo e più mi faccio inghiottire.

Cazzo.

Passo tutto il resto della giornata rinchiuso in negozio, senza fermarmi nemmeno per pranzare, seguendo i clienti occasionali e organizzando al meglio la festa di nascita che ho già fissata sul calendario.

Quando guardo l'orologio appeso alla parete, mi rendo conto che sono già passate le sette di sera, e per la prima volta da quando sono arrivato, mi ritrovo a maledire il sole che in estate tramonta oltre le dieci di sera, sballando tutti i miei ritmi e facendomi perdere l'occasione di uscire per cena.

Sto raccogliendo le ultime cose e riempiendo di acqua gli ultimi vasi, quando sento la porta aprirsi. Mi volto a guardare chi osa entrare in un negozio a quest'ora, pensando sia un turista ignaro degli orari, ma i miei occhi incrociano un corpo che hanno imparato a conoscere forse anche troppo.

"Ho visto le luci ancora accese" mi dice Mario e sinceramente il mio cervello non riesce a produrre nessuna risposta per cui mi limito solo ad annuire mentre lo vedo avanzare verso di me.

E mi trovo a mandare giù della saliva a secco. Perché è ancora più bello di questa mattina.

Indossa sempre gli stessi pantaloni neri eleganti, la camicia bianca però a differenza di questa mattina è un po' sgualcita e gli cade più morbida sul suo corpo perfetto, le maniche sono state arrotolate distrattamente fino ai gomiti e non indossa più la giacca.

Sul suo viso un sorriso felino da predatore.

E capisco che l'ho presa nel culo.

Perché senza volerlo ho appena abbassato a mia volta le mie carte, scoprendo il mio gioco.

Lo vedo alzare una mano e solo ora noto un sacchetto.

"Ho immaginato che non avessi cenato!" mi dice candidamente, come se non mi avesse appena incastrato.

"Hai immaginato bene" gli dico cercando di mantenere sempre una discreta distanza da lui.

"Bene, perché ho portato della carne brasiliana che merita assolutamente" e lo vedo che appoggia sul bancone che avevo appena liberato, la borsetta con la cena. E subito dopo lo vedo andare verso le chiavi del negozio che tengo appese vicino la cassa, prenderle e avviarsi verso la porta d'entrata.

"E' meglio se chiudiamo, così nessuno può disturbarci" dice lui.

E l'unica cosa di cui mi accorgo io, è che sono pienamente fottuto.


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