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Bussarono lievemente alla porta, con le nocche delle mani. Sbuffai, non avevo voglia di visite non ero per niente di buon umore. Arrivai alla porta arrancando, bussarono di nuovo stavolta più forte. Guardai dallo spioncino e con mia sorpresa me lo ritrovai di fronte. Feci un respiro profondo ed aprii la porta.
"Arek.." dissi solo, con un filo di voce rauca. Mi guardò subito negli occhi, con urgenza.
"È mio figlio?" spinse la porta per aprirla ed entrare da me ma lo fermai.
"No, non qui assolutamente" scossi la testa e gli feci segno di stare zitto, mia madre era nell'altra stanza e non volevo che sapesse nulla "sei con l'auto?" Che domanda stupida gli feci. Si fermò e annuì facendo un passo indietro.
"Andiamo allora" presi le chiavi di casa e scesi con lui, entrammo nella sua auto e lo feci allontanare da casa mia, andammo in un vicoletto nei pressi del suo locale.
"È mio figlio?" Mi chiese di nuovo, stavolta col respiro pesante come se la risposta a quella domanda fosse di vita o di morte.
"Non volevo neanche dirtelo ma gli ormoni mi fanno fare pazzie io non so perché l'ho.." gesticolavo mentre dicevo quelle parole a raffica una dietro l'altra, lui mi fissava ma sembrava in un altro mondo. Mi fermò le mani e si avvicinò col volto al mio.
"È mio figlio, Fede?" Mi domandò di nuovo, intrappolandomi coi suoi occhi dritti nei miei. Era impaziente, sembrava che fosse l'unica cosa al mondo che gli interessasse. Pensai se dirgli o no la verità ma mentre ci pensavo le parole mi uscirono di bocca senza il mio consenso.
"Sì, solo con te non sono stata attenta, con.." mi interruppi e per la prima volta decisi di non infierire su di lui evitando di dire il nome del suo migliore amico "stavamo sempre attenti" conclusi.
Annuì e mi lasciò le mani.
"Poi quando nasce puoi fare tutti i test che vuoi, ma ti dico che è così" continuai, con l'ansia che mi fremeva nelle vene.
"Da domani vi trasferite da me, ora ti aiuto a fare le valigie" annunciò.
"Ci trasferiamo? Ma chi?" Mi salì il sangue al cervello, non poteva pensare di portare anche mia madre da lui, non l'avrei permesso mai.
"Tu e il piccolo, voglio che stiate da me"
"Ah, io e il piccolo.." annuii e mi accarezzai la pancia, lui guardò il mio gesto e mosse una mano come a volerlo fare a sua volta, poi si fermò e non lo fece.
"Di quanto?" Chiese, con gli occhi fissi sul mio ventre leggermente gonfio.
"Domani fanno dieci settimane, poco più di due mesi" dissi con un filo di voce e gli presi la mano. Lui me lo lasciò fare e quando sfiorò la mia pancia lo sentii rabbrividire.
"Non lo senti ancora, vero?"
"No è presto, mi hanno detto dai quattro mesi in poi" spiegai.
"Ho capito" alzò lo sguardo e ritorno a guardarmi negli occhi "non vedo l'ora" disse con gli occhi che gli ridevano come quelli di un bambino.
"Anche io" annuii e sorrisi di rimando.
"Andiamo a fare le valigie allora" mise in moto ma lo fermai.
"No, non è necessario che veniamo da te. Non dobbiamo per forza stare insieme perché sono incinta, non ti devi sentire costretto" gli dissi perché era esattamente ciò che pensavo.
"Fede.." mi accarezzò il viso con due dita, dolcemente "l'ho capito da tempo che non mi vuoi e non insisterò più, te lo giuro. Avrete una stanza vostra e poi farò fare anche una cameretta per il piccolo, per il futuro. Voglio solo che mio figlio cresca bene e in un posto più sano, senza offesa" fece riferimento a mia madre ma non mi offesi affatto anzi, aveva ragione. Quello che aveva detto su di me che non lo volevo invece, era una grande bugia. Lo rivolevo, lo rivolevo eccome. Non glielo dissi, mi promisi di farlo più in là.
"Le valigie però me le faccio io, da sola"
"Non ci pensare nemmeno, nello stato in cui sei nemmeno più a lavoro voglio che vai" disse scuotendo la testa.
"No eh, tu quello che devo e non devo fare non me lo dici. Sto benissimo, sono incinta non malata e finché avrò le forze e lo vorrò fare, a lavoro ci vado" mi imposi, ero meno stronza ma non volevo che i miei diritti fossero calpestati.
"Ma se ti stanchi voglio che smetti"
"Se mi stancherò lo farò"
"Prometti?"
"Promesso" ci demmo la mano a sigillare il patto "ora portami a casa e ci vediamo da te stasera, vengo con la mia auto"
"No questo no" scosse la testa così forte che diventò invisibile per qualche istante "la macchina da sola non la carichi. Vengo per le nove, va bene?" Mi chiese.
Sbuffai e guardai l'orologio, erano le cinque e ce l'avrei sicuramente fatta.
"Va bene" acconsentii e mi riportò a casa.
Feci le valigie, ero più felice che mai, questo bambino mi sembrava un vero dono, un toccasana per me e per la mia relazione con Arek. Non vedevo l'ora di iniziare la nostra nuova vita insieme. Lo dissi a mia madre che sembrò fregarsene. Alle nove precise arrivò Arek, si caricò le mie tre valigie stracolme di roba e andammo a casa sua.
Anzi a casa nostra.

Heartless | Arkadiusz MilikDove le storie prendono vita. Scoprilo ora