Le cose proseguirono bene fino al quarto mese e mezzo di gravidanza. Facemmo diverse visite ma non si vedeva ancora il sesso del nascituro. Arek era convinto fosse femmina, mentre io volevo un maschietto, non ero mai andata d'accordo con le donne, figuriamoci con una figlia. Avremmo accettato qualunque risposta, ovviamente, che però non arrivava ancora. La cosa che più ci stava a cuore era che il piccolo stesse bene e la dottoressa ci disse che stava benissimo e cresceva normalmente.
Un giorno Arek mi portò sua madre e suo fratello a casa, all'inizio mi agitai, pensai che la casa era in disordine, io ero in pessimo stato e tutto il resto. Arek mi acquietò, disse che stavo bene e mi presentò a suo fratello tessendo le mie lodi. Anche la mamma di Arek mi salutò con affetto, mi accarezzò la pancia e disse che per lei, vista la forma e la misura della pancia, era una femminuccia. Ridemmo e scherzammo insieme, mi scusai per i miei comportamenti passati e lei mi disse che non se li ricordava nemmeno più. Restarono un weekend, li portammo in giro per la città, allo stadio a vedere la partita del Napoli, al teatro, al ristorante. Erano belle persone e mi piaceva passare il tempo con loro. Il lunedì sera li accompagnammo all'aeroporto e partirono dopo grandi abbracci e saluti. Tornammo a casa e notai subito un cambiamento in Arek. Era sempre dolce e gentile con me, ma lo vedevo più pensieroso, più incupito. Gli chiesi diverse volte se c'era qualcosa che non andava ma lui mi sorrideva e scuoteva la testa 'cose a lavoro, niente di che' rispondeva senza darmi dettagli. Non ci credetti, mai. E avevo ragione. Una sera mentre eravamo a letto, si girava e rigirava senza prendere sonno. La mattina dopo quando mi svegliai lui era già sveglio, con le mani dietro la testa fissava il soffitto.
"Che ore sono?"
"Le sette e mezza"
"E sei già sveglio?"
"Non riesco a dormire, scusa se ti ho svegliata" Mi spazientii, sbuffai.
"Si può sapere cosa hai da qualche giorno a questa parte?"
"Niente, sono stanco"
"Fisicamente intendi?"
"No, fisicamente sto bene" rispose e si mise seduto in mezzo al letto accendendo il lume sul comodino.
"Stanco di cosa?" Gli domandai dopo qualche secondo di silenzio. Avevo paura della sua risposta, paura che non ci volesse più. In questi giorni che era più nervoso non aveva cambiato il suo atteggiamento verso di me, continuava a trattarmi da regina, a dire che ero bellissima, a fare sesso con me. Però avevo lo stesso paura di ciò che stava per dirmi.
"Voglio averti per me seriamente" mi disse.
Lo fissai per qualche secondo, non capii ciò che voleva dirmi.
"Seriamente? Perché ora stiamo giocando?" Feci una voce greve che mi fece vibrare le corde vocali. Lui mi prese una mano, me la baciò.
"Non ho mai giocato con te e lo sai, solo che voglio chiarire le cose una volta e per sempre e voglio poter dire che stiamo insieme, che ci amiamo e che siamo una famiglia"
Improvvisamente mi rilassai, voleva solo mettere in chiaro la situazione.
"Io sono pronta" dissi, mettendomi seduta. Mi sorrise, guardò l'orologio.
"Ci sono molte cose da dire, dobbiamo parlare di Beatri.."
"Non ce n'è bisogno" lo interruppi strizzando gli occhi e scacciando via il ricordo di loro due insieme.
"Invece dobbiamo farlo, dobbiamo chiarire o non potremo mai avere delle basi solide"
"Va bene" acconsentii ma non ne fui entusiasta, non era di certo il mio argomento preferito "allora su, spiegami" lo incitai.
"Ora no, è tardi" erano le otto e sia lui che io dovevamo andare a lavoro "quando stasera torno ne riparliamo, tu nel frattempo pensaci"
"Io non ho bisogno di pensarci, so cosa voglio già ora e se vuoi posso anche dirtelo"
"Stasera ne parliamo, non mi piace andare di fretta" disse ancora, uscendo dal letto. Mi baciò la fronte e andò a lavarsi. Quando uscì dal bagno lo avvertii che avevo chiamato in fabbrica per dire che non andavo, mi sentivo stanca. Lui mi chiese se volevo che restasse ma ripetei più volte che non ce n'era bisogno e che stavo bene, ero solo stanca. Mi baciò ancora e fece lo stesso con la mia pancia, poi andò via.
Cercai di riaddormentarmi ma dopo pochi minuti, o almeno a me sembrarono tali, sentii delle sirene farsi sempre più vicine, poi qualcuno bussò alla nostra porta.
Scesi al piano di sotto mantenendomi la pancia che mi sembrò improvvisamente più pesante, più ingombrante, più satura. Aprii la porta lentamente e mi ritrovai di fronte dei carabinieri.
"Sì?" Chiesi, col cuore che mi batteva a mille. La mia testa volò a mia madre, credevo ci fosse lei dietro quegli uomini in divisa. Ma non fu così.
"Cerchiamo il signor Arkadiusz Milik, è in casa?"
"No, è a lavoro, stasera ha una partita. Perché lo cercate?" Pensai a qualche affare andato male al locale o qualche bega con i fornitori.
"Lei è la moglie?"
"La fidanzata" dissi sempre più nervosa, accarezzandomi la pancia "Perché lo cercate?" Ripetei.
"È accusato di stalking e violenza sessuale" disse l'uomo sulla cinquantina che mi era di fronte.
Non capii più niente, non vidi più niente. Diventò improvvisamente tutto nero, vedevo le sagome dei carabinieri sfocate, li vedevo muovere la bocca ma non sentivo le loro parole. Iniziai a sudare e mi sentii bagnare le gambe. Guardai in basso e con me gli uomini delle forze armate. Del liquido rossastro mi scorreva sulle gambe fino a formare una pozzanghera quasi nera ai miei piedi.
Sentii gli occhi farsi pesanti, li chiusi. Mi svegliai non so quante ore dopo in un letto di ospedale.

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Heartless | Arkadiusz Milik
FanfictionIl miglior modo per non farti spezzare il cuore è fingere di non averne uno. •|Fanfiction su Arek Milik|• Pubblicata il 7/01/19