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Mi vennero a prendere allo stadio, mi volevano ammanettare, mostrare alle telecamere il mio arresto. Fortunatamente l'avvocato del Napoli era in tribuna e mi seguì fino in questura dove iniziò a difendermi. Ero in mille pezzi, non capivo di cosa mi accusavano, non avevo mai fatto niente del genere in vita mia. Quando mi dissero che ad incolparmi era stata Beatrice, capii tutto. Spiegai agli inquirenti che era lei a perseguitare me, che avevamo fatto sesso sì, ma eravamo entrambi consenzienti e che era successo diversi mesi prima. Non mi credettero. Dissero che non dovevo credere di passarla liscia perché ero Milik e giocavo nel Napoli 'a noi non ce ne fotte un cazzo di chi sei, se sei colpevole pagherai' mi ripetevano. Il mio avvocato mi disse di collaborare e di non dire nulla se non c'era lui presente. Non avevo niente da nascondere quindi non temevo nulla. Il Napoli mi mise fuori rosa, per atto dovuto, dissero. Mi credevano ma dovevano a forza di cose aspettare l'esito delle indagini prima di riammettermi in squadra.
La cosa peggiore fu non poter vedere Federica per un giorno intero. Non seppi niente di lei fino a mezzogiorno del giorno dopo quando il mio avvocato mi disse che l'avevano portata in ospedale perché non era stata bene. Urlai che dovevano farmela vedere, che se le fosse successo qualcosa o a lei o al bambino avrei denunciato tutti. Mi fecero urlare, mi sfogai. Verso le sei di sera mi fecero uscire. Si tennero il mio cellulare per fare dei controlli, si presero le password dei miei social per vedere se mandavo dei messaggi minacciosi a Beatrice. Gli lasciai fare tutto, speravo solo che quest'incubo finisse presto.
Quando arrivai in ospedale mi chiamarono in una stanzetta piccola, con una scrivania nera piena di fogli ammucchiati e un uomo sulla sessantina seduto che si dondolava sulla sua sedia di pelle troppo consumata.
"Lei è il fidanzato della signorina Federica Sansone?" Mi disse tamburellando con le dita sul legno della scrivania.
"Sì. Me la fate vedere per piacere?"
"Ora non si può, si sta ancora riprendendo dopo l'operazione quindi è meglio se non.."
"Quale operazione, scusi?" Lo fermai e lui alzò lo sguardo dalla cartella clinica a me.
"Abbiamo dovuto praticarle un cesareo d'urgenza, la bambina era morta da giorni" disse "ha rischiato di morire anche lei" concluse.
Mi mancò l'aria. La bambina che avevamo tanto amato, che avevamo coccolato, non c'era più. Era morta da chissà quanti giorni e non ce ne eravamo accorti. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, scoppiai in un pianto che mi fece male, sentivo fisicamente il dolore di quella perdita. Il dottore mi disse che era comprensibile il mio comportamento e che Federica non lo sapeva ancora. Gli dissi che volevo essere io a dirglielo e lui mi rispose che si poteva fare se io me la sentivo. Mi disse anche che tra una settimana, se tutto andava bene, poteva uscire e che poteva avere ancora figli, fortunatamente. Fu una delle poche notizie buone di quella giornata.
Me la fecero vedere solo per un minuto, le baciai le mani piene di fili e aghi, le sussurrai che l'amavo che avremmo superato tutto insieme.
Il giorno dopo il dottore mi chiamò, disse che per mezzogiorno potevo andare e stare con lei perché le sue condizioni erano molto migliorate. Ne fui entusiasta ma prima di andare da lei tornai in questura a firmare e mi spiegarono che le indagini stavano proseguendo, che al momento non avevano novità. Vidi Beatrice entrare in una stanza del commissariato e quasi mi fece compassione. Come si può arrivare a fare così tanto male ad un'altra persona? Non lo capivo, doveva per forza non stare bene mentalmente.
A mezzogiorno precise ero seduto accanto alla mia fidanzata. Le parlavo, le dicevo cose simpatiche, ridevo alle mie stesse battute per non piangere nel vederla così. Tornai anche il giorno dopo e quando mancavano dieci minuti alla chiusura dell'orario di visita, aprii gli occhi e mi strinse la mano. La riempii di baci, le dissi che mi era mancata, che senza lei non volevo restare mai più, che la amavo. Si guardò intorno e come se io non avessi parlato, mi fece solo una domanda, l'unica a cui non sapevo ancora come rispondere.
"Come sta nostro figlio?"

Heartless | Arkadiusz MilikDove le storie prendono vita. Scoprilo ora