Niente paura [revisionato]

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Si conobbero molti anni prima, quando misero per la prima volta piede nella scuola. La bambina dai capelli biondi era poco più alta, sempre col rossore sulle guance ed un paio di graziosi codini, mentre l'altra bimba preferiva tenere le sue ciocche nerissime sciolte, libere, come il suo animo.
Divennero subito migliori amiche e se lo promisero lì, un mattino di autunno, al parchetto, che non si sarebbero separate mai.

Tornammo nei rispettivi blocchi piuttosto tardi, avevo la schiena a pezzi ma non riuscivo a chiudere occhio; la mia mente mi voleva riportare a momenti felici, mi voleva salvare, cercava di ottenere un modo per non farmi perdere del tutto la speranza e per questo la ringraziai.
Concentrandomi su un punto buio della baracca, riuscivo a vedere casa: lì in cucina, c'era mio nonno, grand'uomo, mi stava insegnando a scrivere in ebraico mentre la nonna stava cucinando un buonissimo dolce alle mele che ne sentivo ancora il profumo.
Non sapevo molto del credo ebraico perciò non sentivo grande necessità di farne parte, in un certo senso. Mi bastava credere nella bontà della natura e delle persone per andare avanti e, infatti, non appena vedevo serenità e pace negli occhi dei miei nonni mi sentivo a mia volta felice.

-Neanche tu riesci a dormire..?-

-Sarah! Mi hai spaventata.- Sobbalzai.

-Scusami, sono preoccupata per noi, per le altre. Per tutte le persone che sono qui. Luise è davvero giovane, tu sei così giovane, non meritate di stare qui... Vorrei aiutarvi a scappare, a farvi vivere veramente...-

-Sarah, nessuno merita di stare in un posto del genere.- Scossi la testa.
-Mi è venuto in mente un paio di volte su come fuggire ma riuscirci è più che improbabile...- Mi strinsi le ginocchia al petto e sentii lei avvicinarsi a me.

-Lianne, voglio andarmene...- La sua voce era rotta da piccoli singhiozzi come se stesse per piangere o si fosse appena ripresa, in realtà. Vedere lei così mi faceva stare anche peggio.

-Sarah, ti prometto che ci proveremo, vedremo come fare.- Ma non avevo altre parole con cui incoraggiarla, sinceramente, ed ogni frase suonava titubante anche nella mia testa.

-Cara, se domani mattina ci organizziamo con le altre? Prima che arrivino le kapò... Sono sicura che tutte sono d'accordo...


-IN PIEDI!-
Aprii di scatto gli occhi sentendo urlare qualcuno ed un attimo dopo vidi tutte le altre mettersi in riga.

-Oggi avrete mansioni diverse, alcune di voi sono state scelte per servire il comandante mentre altre in cucina ed altre ancora dovranno seguire me verso il blocco in fondo.- Ci informò una kapò diversa dalla solita, sembrava molto più rude.

Poco prima di mangiare, sentii Luise saltarmi al collo, per poi lasciare un bacio sulla mia guancia, in preda ad una inspiegabile felicità.

-Buongiorno!- Mi sorrise delicatamente lasciando il rossore sulle guance.

-Buongiorno a te, sei... Sei contenta?-

-Insomma, sì! Mi ha detto la kapò che io ed altre due ragazze siamo state messe al servizio del comandante. Devi vedere, ha una villa immensa e le donne che lavorano lì sono fortunate, vengono trattate meglio e sono meno stressate.-

-Oh, menomale! Sono davvero felice per te.-

-Spero che anche tu venga inserita in un posto altrettanto buono, magari in cucina, così ci vedremo comunque.-

-Speriamo.-

A colazione ci spettò la solita brodaglia scura spacciata per caffè, certo, era calda, avrei detto più bruciata che altro. I biscotti questa volta erano duri come il marmo. Non era possibile.
A peggiorare la situazione furono anche delle improvvise urla fuori dalla baracca, sobbalzai e cercai con lo sguardo Luise e le altre, fortunatamente tutte vicino a me.
Una donna stava urlando, poi una voce maschile prese il sopravvento urlando a sua volta, creando del panico tra di noi.

Mi alzai da quella panca in cui stavo stretta, ignorando i richiami delle kapò, finché non uscii dal blocco trovando una povera donna a terra con una pistola alla tempia.

-NO, SI FERMI!- Ancora una volta l'istinto prese il sopravvento e la ragione scivolò via. Non potevo sopportare scene simili, volevo solo tanto aiutare quelle persone anche a costo di subirne io le conseguenze. Le urla, i pianti, erano alcune delle cose che mi facevano stare veramente male.
Urlai verso il soldato, anche se me ne pentii poco dopo quando egli puntò l'arma contro di me, stringendo in una mano i capelli corti di lei.
-La prego! Non uccida quella donna!-
Tremai ma il mio corpo agì da solo, mentre vidi negli occhi del soldato un'ira indescrivibile.

-Cara, sei tu!- la donna mi richiamò e riconobbi subito Maria, la signora dell'altra sera.

Mi concentrai solo sul soldato che non smetteva di raggelarmi con lo sguardo. Non accennava alcuna smorfia, era come fisso su di me, attendendo un mio passo falso mentre la povera donna gemeva dal dolore, con le ginocchia a terra e le mani colme di sangue.

-Vuoi morire tu?- Mi domandò con stizza, sputando acido per via dell'essersi rivolto a me.

-Non faccia del male alla signora, la prego. La lasci andare...-

-"Vuoi morire tu?" ho detto.- Domandò ancora una volta visibilmente alterato.

-No... La prego, no...-

Non sapevo più che fare.
L'uomo si avvicinò con irriverenza a me tirandomi un forte schiaffo, a mia fortuna solo uno, lasciandomi inerme lì mentre Maria veniva tirata per un braccio verso chissà dove.
Le urla cessarono e tornò il silenzio.

-TUTTE A LAVORO, TU, MUOVITI.- Urlò ancora una volta la kapò, spintonandomi.
Mi venne da piangere e stavolta non esitai nel trattenermi, non potevo negarlo più a me stessa, avevo paura, paura di uomini dall'enorme potere che comandavano sulle nostre vite come meglio preferivano.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora