Senza vie di fuga

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[Nella foto, Lianne e Luise (Ho trovato questo film in cui l'attrice è proprio colei che ho scelto da tanto come Lianne, coincidenze assurde...)]

" Quanti anni mi dai?
Quanti giorni mi dai?
Non so quanto vivrò,
Tu quanto tempo vivrai?"

Murubutu, La collina dei pioppi

Murubutu, La collina dei pioppi

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Lianne's pov

Tornai di notte nella baracca scortata dallo stesso soldato che mi portò al ricevimento; avevo suonato per altre due ore estenuanti e nel frattempo trattenevo le lacrime per il dolore alla schiena che non mi permetteva neanche di camminare. Ma quel soldato mi puntava il fucile alla nuca, per cui mi era impossibile controbattere.
Ero sfinita. Almeno avevo rivisto lei, questo mi bastava.

Il mattino seguente Marina corse da noi per svegliarci prima del dovuto, mancava un po' all'alba e tra un dubbio ed una lamentela ci informò di un altro controllo gestito dal medico, lo stesso che subimmo poche settimane prima.
Non volevo crederci, tremavo all'idea che ora, molto più probabilmente, sarebbe toccato a me o le mie amiche ed ero terrorizzata.

Non era il controllo, era una selezione: coloro che mostravano segni di cedimento, età, malattia, erano destinati tutti ad un'unica fine, quella a cui scampai io per miracolo. Ora non era così semplice; sentivo dolori ovunque, temevo per Emily poiché il pancione era già più evidente data la sua magrezza, Federica era ammalata e a stento riusciva a lavorare in lavanderia, Luise diventava più fragile giorno per giorno.

Avevo paura per loro, per loro davvero tanto, non doveva passare nessuna questa selezione, oltretutto così all'improvviso.

Appena dopo l'appello dovetti mettermi in riga assieme alle altre e non mi rimase che sperare e pregare chiunque ci fosse lassù.
Il medico si presentò altezzoso mentre vagava tra di noi, analizzando ogni ragazza e donna, da cima a fondo. Era affiancato da un soldato che, al primo ordine di portare via una internata, compiva il suo lavoro integerrimo.

-Questa.- Indicò il medico dal camice bianco una donna quasi in fin di vita.
-Questa.- Ne seguì un'altra.
-Questa.-

Presi uno spavento quando toccò Federica che era visibilmente mal ridotta e si reggeva a malapena in piedi. Sgranò gli occhi e si mise le mani in volto piangendo ed urlando a squarciagola quando quel soldato la portò lontano e verso le camere a gas.
Volevo urlare anch'io ma non uscivano le parole, piangevo silenziosamente mentre potevo solo restare a fissare davanti a me, nel vuoto, e sentire le grida strazianti della povera Federica.

Ella scappò dalle grinfie del soldato correndo come meglio poteva verso una baracca, la prima che trovò vuota, quando il medico diede l'ordine di spararle e così fu, proprio da quel soldato che ora ricordai fosse lo stesso che aveva rapporti con lei ogni notte.
La colpì una sola volta alla schiena, bastò una per farla stramazzare al suolo, e poco dopo si impregnò il suo corpo di sangue.

-FEDERICA!!!!!- Urlò Luise che ricevette un fucile puntato sulla guancia da quel soldato.

Il medico rimase impassibile se non infastidito dal tutto ed andò via, scegliendo altre tre donne che non avevano più alcuna speranza.

Marina ci portò nella baracca per fare colazione ma la saltai, riprendendo Luise da terra mentre singhiozzava per la povera Federica inerme.

-Luise, andiamo... Ti prego...- Cercai di farla allontanare da lì per non farle trasmettere ulteriori malattie.

-Toccherà a tutte così... A tutte noi così... Lo so...- Farneticò lei tremante anche durante la misera brodaglia per colazione, con lo sguardo catatonico e le lacrime impresse sulle guance.

Mi toccò lavorare anche quel giorno nella villa del comandante, assieme a Luise ed Emily, fortunatamente. Dovevamo essere unite il più possibile, fino alla fine, anche se a Luise ci volle molto di più per riprendersi. Puliva l'ampia sala ma spesso aveva cedimenti, una volta sola la notò il comandante stesso che la rimproverò aspramente.
Quando questo andò via, presi il posto di Luise e pulii al meglio la grande sala nella quale stava anche quel pianoforte.
Mentre Emily cucinava, io tenevo d'occhio la nostra amica, sperando che si riprendesse il più velocemente possibile.

Non sapevo con quale forza riuscivo ad andare avanti, ero a pezzi  pensando alla povera Federica che non meritava una umiliazione ed una terribile fine in quel modo, come le altre. Il mio cuore si strinse ricordando con quanta indifferenza il soldato la uccise, lo stesso di cui lei si fidava e aveva dato se stessa per la vita.

Ottobre era quasi al termine; cominciò a piovere e le gocce che battevano come lame al suolo sfiorarono anche la finestra della grande sala, lasciando alcune linee dirigersi senza una giusta coordinazione verso il bordo inferiore.
Alcuni lampi creavano fori in quei fitti nembi, ad ogni tuono mi bloccavo per la troppa paura che mi stava assalendo, pensare che poi avremmo dovuto dirigerci nelle baracche a piedi e sul bagnato, col freddo invariato della mattina fino alla mattina successiva.

Eravamo apparentemente sole, qualcuno cominciò a suonare il pianoforte, toccando i primi tasti dai quali era inconfondibile il Für Elise. Emily non si scompose nel lavare i piatti e Luise era indaffarata col pavimento.
Poggiai su una mensola un quadro che avevo terminato di spolverare per dare una fugace occhiata verso il fondo della sala; l'immaginazione mi disse che poteva essere la sorella del comandante ma, con mio grande stupore, era il comandante stesso a suonare.
Era seduto di profilo, sebbene fosse concentrato sul piano, la sua attenzione passò subito a me e mi osservò con un misto tra il basito e l'infastidito.

Stupida.
Scattai verso la cucina ma il comandante mi richiamò con l'appellativo di "giudea". Mi fece cenno di avvicinarmi e, con tanto tanto timore, seguii i suoi ordini.

-Ho potuto udire il tuo modo di suonare, l'altra sera.- Non mi guardava negli occhi, cercava vagamente un punto su cui fissarsi per proseguire. - Quel brano... Era di tua invenzione?-

-Sì...- Risposi insicura.

-Fammi rivedere, adesso.-

Non obiettai, così suonai nuovamente quel brano che composi quella sera stessa. L'atmosfera era diversa, mi ero sentita soffocare mentre ora avevo solo un'immancabile voglia di gettarmi, arrendermi, passare l'eternità in silenzio e beata pace.

-Sì... Sì... È un bel suono.- Commentò lui rivolgendosi più a se stesso.

-Le battute su i due quarti sono più veloci e...-

-Lo so. Lo so. Ora va', continua il tuo lavoro.- Mi congedò in fretta e furia tornando a rimuginare su alcune cose, almeno credevo.
Non capii perché avesse voluto sentire il mio brano ma non ne diedi tanto peso, almeno non mi aveva fatto del male, mi rallegravo di questo.

Era quasi sera, il comandante si ubriacò dopo aver cenato, portandosi a letto una povera ragazza, piuttosto giovane, dai tratti sottili, che doveva essere una zingara per il simbolo diverso dalla solita stella sul petto.
Aveva i capelli raccolti in una treccia scura e dai grandi occhi neri trapelava paura e ansia, soprattutto per le maniere scortesi dell'uomo.
Lui era grande, lei sembrava avere l'età di Luise...
Non potei fare nulla e vidi solo che quel tipo la portò al piano di sopra, gemendo e sospirando forte pochi momenti dopo.

-Squallido...- Commentò Emily, mentre sparecchiava la tavola e poggiava i piatti nel lavandino.
Luise era ancora scossa, in assenza del comandante poté sedersi lì in cucina e riprendere il respiro, temeva quell'uomo più di chiunque altro, raccontandoci di quando la toccava con malizia appena aveva bevuto qualche bicchiere di vino.

-Passami quella mela.- Indicai una mela tagliata a metà, lasciata dal comandante, sul tavolo.
La tagliai a spicchi e me la divisi con Emily e Luise, alla faccia di quegli uomini senza pudore.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora