L'amore e la vita

491 29 18
                                    

Lianne's pov

Passò una settimana da quando mi avevano affidato il compito di pulire la casa del comandante.
Da allora, io ed Emily ci trovammo a lottare ancora più unite, con la paura costante di perderci da un momento all'altro.
Molte notti le trascorravamo parlando di noi, dei nostri amori complicati e sognavamo un futuro idilliaco, utopico, ben distante da quel presente, dove potevamo vederci spesso e organizzare feste tra le nostre famiglie, stare in pace.
Emily mi confidò di voler chiamare la sua bambina Naomi, o Albert, se fosse stato maschio.

Quel pomeriggio notai nuovamente il soldato fumare con insistenza il suo pacchetto di sigarette, ammirando il cielo grigio che stava per accogliere l'inverno.
Mi notò, sviando lo sguardo quasi subito, e non sembrava affatto contento.

Io restavo seduta sull'uscio della porta, cercando un flebile raggio di sole che potesse scaldarmi, mentre sospiravo per le tante cose successe in quell'ultimo periodo. In quelle ultime settimane. Avevo ricominciato a mangiare, seppur sempre porzioni misere, per quanto lo fossero già in partenza, ma lo facevo più per accontentare Emily e vederla più serena. Josef cercò di portarci più spesso cibo sostanzioso che promisi lui di ingerire ma in realtà ne davo più alla mia amica, anche per il suo bambino.

Mi gioì il cuore notare come il volto di Emily prese più colore e carne, si arrotondò molto teneramente ed anche i suoi capelli stavano crescendo di nuovo e più forti. Stava tornando più bella di prima ed immaginavo quanto sarebbe diventato bello il suo bambino. Riguardo al piccolo, Josef mi promise di trovare una soluzione momentanea, nel caso la guerra dovesse perdurare, chiedendo aiuto anche a Samantha; insomma, ero felice anche per questo. 

Ogni giorno riflettevo sopra quante cose avessi visto e fatto in pochi mesi rispetto a tutta la mia vita ed era spaventoso; mi resi conto di star maturando, forse non così tanto, capendo i reali valori della vita, non i desideri effimeri che mi coinvolgevano nell'adolescenza. Non ero, però, orgogliosa di me, assolutamente il contrario. Mi odiavo. Mi odiavo ogni giorno di più.

-Lianne.- Emily si sedette accanto a me lentamente, accarezzandomi il braccio. -Cosa stai pensando?-

-Ai miei errori, Emily. A tutto ciò che ho sbagliato e non ho potuto trovare rimedio.-

-Ma cosa dici? Hai fatto tanto, te lo ripeto.-

-Non abbastanza, Emily, non è tanto, in realtà. Ci penso continuamente, avrei potuto fare molto di più, salvare le altre, non capisci..? Potevo salvare Elisa... Quella sera.. Se fossi uscita in tempo. Potevo salvare Sarah e Federica, quella bambina... Luise... Non sono stata capace di fare niente. Come posso permettermi di andare avanti?- Mi coprii il volto con le mani per non farmi vedere mentre piangevo.

-Lianne, non è assolutamente vero, tu ci hai sempre aiutato, hai aiutato tutte loro e ti ringraziano per questo.- Mi strinse al suo petto.  

-Come possono ringraziarmi se sono lassù..?- Singhiozzavo e tremavo ma l'abbraccio di Emily mi stava donando un po' di calore, nonostante fosse così debole per la stanchezza. 

-Lì c'è un dio che le ha accolte con serenità, non soffrono per colpa di questa realtà così diversa e crudele, ma possono vederci, sentirci, e stare al nostro fianco, anche se noi non ci riusciamo. Saranno sempre con noi, tesoro, perché sono nei nostri ricordi e nel nostro cuore e nessuno potrà mai portarle via da lì, mai. Neanche l'uomo più meschino di questo mondo o la morte stessa.-

-Come può essere...-

-Non si deve sottovalutare l'amore, è grazie ad esso che esiste la vita.- Da lì smisi di piangere riflettendo con cura sulle sue parole che risuonavano nella mia mente come una lieve poesia. -Questo solo pochi lo sanno, Lianne. Ma nessun uomo, su questa terra, è cattivo. E chiunque pare esserlo ha una distopica visione della vita, la quale non  ha saputo dargli abbastanza amore per fargli capire che non c'è affatto bisogno di un fucile, di una spada, per risultare superiore ad un altro uomo perché non esiste superiorità. Che non si porrà mai tregua alla guerra se non si capisce il reale senso dell'esistenza.-

Ammirai il discorso di Emily, era vero. Lo capii con Josef, con la sorella del comandante anche. 

-Lianne, qualunque cosa accada, non provare mai odio per te stessa o per gli altri.- Terminò così lasciandomi con uno sguardo confuso. Purtroppo era ricominciato il nostro turno e l'avrei ritrovata a tarda sera nella baracca, pronte per recuperare al meglio le energie.

Dovetti stare in lavanderia quel giorno ed avevo la paura costante che da un momento all'altro sarebbe entrato Johann ridendo di me.
Non lo vedevo più, né di giorno né di notte, per fortuna; speravo di non vederlo più.

Di tanto in tanto dovevano passare alcuni soldati per controllare la zona, la lavanderia era il posto più appartato per cui il più accessibile per una folle e improbabile fuga.
Entrò un soldato a colpi di tosse, sbattendo la porta talmente forte dal farmi sobbalzare sul posto.
Non mi fermai ma, alzando di poco lo sguardo, notai fosse quel giovane accanito fumatore che vedevo spesso da settimane.

Potevamo avere la stessa età. Il suo viso era caratterizzato da tratti dolci ed armonici, così come i suoi capelli un po' scuri ma liscissimi e lucenti.
Era ritto accanto al muro ma fece pochi passi verso di me, perlustrando la stanza e ciò che stavo facendo.
Mi mancava poco ed avrei finito, così continuai più energicamente sperando in una pausa più lunga.

Sentivo la puzza di tabacco impregnata sulla divisa del soldato darmi alla testa, non sopportavo il fumo, e sembrò accorgersene perché si pose davanti a me, a pochi metri.
Mi osservava attentamente negli occhi dandomi un lieve imbarazzo, come se avessi qualcosa che non andasse, effettivamente.

D'un tratto, feci cadere per sbaglio un flacone contenente del sapone e temetti il peggio dal soldato.

Rimasi immobile notando che lo raccolse lui per me, poggiandolo al tavolino come se fosse tutto normale. Non mi sgridò o altro e lo ringraziai titubante, non aspettandosi la mia reazione.
Poi calò di nuovo il silenzio, neanche il tempo di lavare un'altra divisa che il ragazzo accese una sigaretta fumandola lì dentro, coinvolgendo anche me.
Quanto potevo detestarlo, feci perfino una smorfia dopo aver inalato del fumo passivo che mai avrei potuto evitare, attirando la sua attenzione.

-Mai fumato, ebrea?- Chiese con leggera stizza, ammirando il fumo uscire dalle sue labbra.

-Detesto il fumo.- Risposi schietta senza togliere concentrazione al mio lavoro.

-Fai bene. Vorrei smettere ma mi è impossibile.- Ammise tranquillamente, portandosi la sigaretta tra le dita ed osservandomi con uno strano interesse.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora