Sola

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Lianne's pov

Quando rientrai nella baracca mi colpì Emily, girata di spalle e ben nascosta, che si voltò un paio di volte per vedere chi avesse dietro.

-Lianne, ecco, te ne meriti un po'.- Mi portò sulle mani un paio di dolcetti soffici e molto profumati, belli anche alla vista; in un secondo momento mi chiesi come li avesse ricevuti. Nell'imbarazzo, mi confessò che si trattasse di un regalo da parte di uno dei soldati, che si era presentato come Klaus e che le aveva assicurato di proteggerla durante quel periodo nel campo.

-Non ha utilizzato proprio il termine "assicurato"...- Continuò ancora rossa sulle guance. -Mi ha promesso... Di volermi proteggere.- Mi colpì immaginare Klaus riuscire a parlare ad Emily, sicuramente entrambi impacciati e la cosa l'avrei trovata tanto tenera.

-È stato molto carino.- Commentai.

-Già... Purtroppo, è questo il punto.-

-Cosa?-

-Io ho il mio uomo qui, Lianne. Non volevo neanche accettare il cibo, mi sento come se lo stessi tradendo... Io non posso.- Si coprì il volto con le mani ma gliele presi subito dopo, scoprendo il suo viso stanco ed un'espressione persa, triste.

-Non significa che lo stai tradendo, Emily. Non lo pensare affatto.- Le sorrisi quasi imboccandole uno dei dolcetti. -Ora hai bisogno di zucchero.-

Inutile dire che terminammo il tutto in fretta, affamate come sempre, perché anche se spesso riuscivo a prendere del cibo grazie a Josef quelle quantità non bastavano, c'era sempre un vuoto da colmare, costantemente e nel tempo.
Emily si allungò di fianco a me cercando di riposare e, nel frattempo, potei constatare che la pancia era ben più grande, ormai doveva essere all'incirca al quarto mese.
Ripensai alle parole di Klaus, se Emily gli avesse detto della sua situazione, di come l'avrebbe potuta prendere. Non era facile.
Nonostante lo avessi conosciuto da poco, ero certa che le avesse parlato col cuore, sebbene il suo ruolo imponeva regole rigide, lui mi confidò di starle infrangendo tutte.
Qualche giorno prima, mi spiegò che a causa dei suoi genitori era stato arruolato, istigandolo a fare qualcosa per il benedetto Paese, riempendo loro di orgoglio.
Anche altri suoi compagni erano nella sua situazione, a mia sorpresa; in tutto l'esercito tedesco. Perfino molti nella Wehrmacht non condividevano affatto quei pensieri barbari che, al contrario, nutrivano Johann, il corvo. Lui rispecchiava la ss perfetta, godeva del suo pieno titolo.
Gioivo nel non averlo più rivisto da molto, non sapevo per quale grazia, però.

Il giorno dopo mi svegliai con un dolore acuto alla schiena. Mi ero addormentata in una posizione più che scomoda, scomposta, con la testa tra le ginocchia e sulla base in legno, accanto al letto di Emily.
Una kapò ci ordinò di uscire immediatamente a causa di un altro controllo.
Ella si avvicinò più a me e notai ora che si trattasse di Marina.

-Ragazze, è una selezione. State attente, mostratevi forti e non date mai segno di cedimenti, se ne accorgono subito.- Confidò a me ed Emily, ormai eravamo le uniche con cui parlava.

-Marina, ho paura... Emily...-

-No, no, sto bene.- Mi interruppe lei, sorridendo per tranquillizzarmi. Ora che era in piedi, la pancia non era molto evidente, per fortuna.
Marina aggiunse che la stessa selezione doveva avvenire quella mattina nella zona maschile, comprendendo anche Adam ed i suoi compagni; questo ci allarmò, lasciando il silenzio tra noi due, perché entrambe stavamo morendo dalla paura.

Uscimmo fuori per il solito appello, seguito dalla selezione.
Molte donne si sostenevano a vicenda, deboli dal freddo e dalla fame, la fatica subito dopo, tremavano e riuscivano appena a reggersi sulle gambe.
Mi guardai intorno e giurai che il tempo poteva essersi fermato quando vidi, poco lontano da noi, Josef, impeccabile come sempre, venire nella mia direzione. Riuscii a trattenere a fatica un sorriso.

Josef dovette affiancarsi ad un soldato che indossava sopra l'uniforme un immacolato camice bianco, che rispecchiava il suo senso di insistente e voluta perfezione, come i capelli tirati indietro senza tralasciar alcun ciuffo castano e la barba rasa.
Il suo sguardo, poco rassicurante, era focalizzato su ognuna di noi, squadrandoci dalla testa ai piedi.
Alla fine, scelse otto donne, seguite da un altro soldato verso una morte certa.
Tirai un sospiro di sollievo.

D'altra parte, però, potemmo sentire delle forti lamentele provenire dall'altra parte del recinto, dove vi erano le baracche maschili e lunghe file di uomini malridotti, costretti a stare rigidi, nonostante molti non avessero neanche degli indumenti. Alcuni vennero fucilati, sotto i nostri occhi, per giunta, per aver tentato invano una fuga. Sentii alcune donne scoppiare in lacrime, presumendo si trattassero dei loro parenti e quanto faceva male, anche a me, vederli soffrire, forse peggio di noi.

Emily gridò il nome di suo marito, avanzando di qualche passo verso la sua fila ma la fermai immediatamente, per paura dei soldati che ci stavano ancora sorvegliando. Riuscii a distinguere Adam tra tutti quegli uomini, uguali ora per aspetto. Purtroppo le sue condizioni lo portarono nella fila di destra, dove, come anche a noi, alcuni furono scelti per morire quel giorno.

Non potei sopportare di sentire ancora Emily gridare, piangere, pregare per Adam, mentre questo le dedicò un ultimo sguardo non rassegnato ma felice, forse più compassionevole. Era riuscito a rivedere Emily, probabilmente quello fu il suo ultimo desiderio. Io mi limitai a rimanere in silenzio, non sapevo affatto cosa dire. Josef si affiancò a noi, non poteva fare più nulla. Lo guardai rassegnata, non avevo neanche le forze di reggere Emily. Quando gli uomini sparirono dalla nostra vista lei crollò sulle ginocchia ed io la seguii proteggendola in un abbraccio. Anche il presunto medico andò via, così come alcuni soldati, lasciando solo Josef, ora anche Klaus, lì.

Quello fu uno dei giorni peggiori.

Se quella mattina non eravamo considerate dai soldati, c'erano Josef e Klaus a dirci di andare a consumare la colazione, con un tono quasi dolce, cercando di dare conforto. I due si scambiarono uno sguardo confuso, probabilmente non si conoscevano. Emily si rifiutò di mangiare, così toccò a me, quella volta, convincerla di bere almeno quella sorta di caffè, cedendole anche la mia parte.

Allora divenne ancora più difficile per entrambe.

Nel pomeriggio, Josef entrò in lavanderia dove mi avevano affidato il lavoro, salutandomi con un caldo abbraccio. Eravamo da soli e finalmente potei sfogarmi, sprofondando nel suo caldo petto ed ascoltando il suo battito tanto forte.

-Non ho potuto fare niente.- Disse.

-Hai fatto tanto, invece,- Scossi la testa ringraziandolo col sorriso -non sarei qui se non fosse per te.- E poggiò la sua fronte sulla mia, lasciando spazio al silenzio.

Lo stesso silenzio che ora caratterizzava l'atmosfera nella baracca, in cui Emily si era rifugiata, rannicchiata su se stessa cercando quel minimo di conforto tra le lenzuola opache e così sottili da tralasciare il freddo. La raggiunsi, accarezzandole, poi, la schiena. Per quella sera non scambiammo una parola, lasciando che la notte permettesse ad entrambe di sfogarci con le lacrime.

Quasi la mancanza della pioggia si faceva sentire e, come se mi avesse letto nella mente, a distanza di pochi minuti, cominciò a piovere, lasciando entrare dell'umidità tra le assi in legno e quelle misere finestre trasmettere il rumore costante che penetrava anche nei pensieri.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora