Come petali che cadono [revisionato]

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Tutti gli sforzi verranno ripagati.

Stava arrivando l'inverno. L'appello parve durare all'infinito e non riuscivo a pensare ad altro se non resistere a quel terribile freddo. Improvvisamente, la mia attenzione cadde unicamente su quell'arpia della kapò, del tutto diversa da Marina: quella mattina dieci di noi avrebbero passato una sorta di test sotto richiesta di alcuni medici della zona. Nessuno ci disse nulla di più, ci avrebbero solamente scelto ad occhio, in base alle nostre condizioni attuali, secondo quali criteri non si sapeva.

Mi voltai verso le altre e notai che Emily non si sentiva affatto bene ed aveva un urgente bisogno di andare via, correre dietro la baracca. La seguii e cercai di sostenerla mentre le venne da vomitare.

-Lianne, questa è la gravidanza. Ho paura che mi possano scoprire oggi, specialmente col controllo di quei medici.- Si coprì il volto con entrambe le mani, sedendosi goffamente terra.

-Ma no, Emily, hai sentito la kapò? Ci guarderanno solamente e sceglieranno. Non avere paura ed andrà tutto per il meglio.-

-È facile da dire...-

-Lo so, io... Io ho davvero paura, specialmente per questo test. Però non possiamo mostrarci vulnerabili a questi bastardi.- Le asciugai le lacrime con un dito. Avevo promesso a me stessa di mantenere la speranza, fino alla fine e soprattutto non potevo vedere le mie amiche in quello stato.
Ci alzammo e dirigemmo verso il gruppo di donne già posizionate in cinque righe, perfettamente dritte e con lo sguardo in avanti, a dir poco catatonico.
Tra queste, Luise, Elisa, Sarah e Federica erano all'ultima riga mentre ordinarono me ed Emily di restare nella prima.

Un abissale silenzio piombò sul campo nell'esatto momento in cui il cielo si scurì e velò il rassicurante e caldo sole quotidiano. Potevo sentire solo i battiti accelerati del mio cuore, così forti che magari li sentiva anche qualcun'altro. Cercavo di trattenere il respiro affannato ma il corpo, non seguendo la mia volontà, si muoveva ininterrottamente alzando ed abbassando il petto e oscillando le gambe con brevi scatti.

Appena dopo, un medico arrivò e cominciò quella selezione senza ulteriori pretese.

-Tu.- Scelse una donna davvero magra e con un braccio fasciato. Era così esile ed a malapena riusciva a camminare che provavo tanta pena per lei, oltre che un impeto di ira verso quel viscido che la derise anche.

-Tu.- Disse, poi, ad una altrettanto anoressica, con le lacrime agli occhi. Non capivo perché stesse scegliendo ragazze tanto deboli.

-Tu.- Indicò me. Non ebbi neanche il tempo di ribattere che ordinò ad uno dei soldati di trascinarmi bruscamente via, impedendomi di vedere le altre. Una brutta sensazione mi pervase, oltre al continuo tremore per via del freddo percepivo anche che difficilmente avrei più rivisto le mie amiche. Nel frattempo venni strattonata per svariati minuti, fino ad arrivare davanti ad una struttura più minuta dei soliti blocchi ma più agghiacciante. Non si udivano voci né oggetti trascinati o comandi dei soldati; non vi lavorava nessuno in quella zona. Le mura più basse permettevano all'aria gelida di circolare con più facilità, piombandosi con irriverenza sul mio volto fino a rendere le guance rosee e le labbra secche.

-Entrate qua.- Mi spinse bruscamente in avanti e per poco non caddi. Sbatté il portone dietro di noi e questo rimbombò per tutta la stanza angusta e grigia. Guardandomi intorno, vidi le poche donne selezionate prima di me, alcune con sguardo assente ed altre si accasciarono a terra singhiozzando. Non c'erano finestre, letti o sedie. Solo una sorta di condotto per l'aria dalla quale entravano spifferi gelidi.

-Scusatemi...Potete dirmi cosa succederà adesso..?- Mi rivolsi alle altre donne, sperando di trovare risposte.

-Vaffanculo!- Urlò una di loro. -Mi vuoi prendere in giro?! Accendi il cervello e pensa a cosa ci potrebbe mai accadere, è ovvio che adesso moriamo!- Esasperata, cedette sulle proprie ginocchia e mi ignorò nuovamente. Le altre preferirono non aprir bocca così ognuna di noi rimase ad un angolino per fatto suo. Era davvero così? Stavo per morire? Mi chiusi a guscio cercando una sorta di protezione, riflettendoci, non sarebbe stata affatto un'opzione da escludere. Involontariamente, cominciai a piangere. Mi sentivo così vulnerabile che sarei potuta morire all'istante semplicemente per il freddo, di lì a poco. 

Non avevo più le energie per muovermi o riflettere ed anche i miei pensieri viaggiavano senza ordine nella mia testa. Oramai eravamo chiuse in quella stanza da minuti ed in quel campo il tempo scorreva più lento del normale. Ignorai anche i miserabili commenti delle altre donne che, prima sussurrando e poi quasi urlando a gran voce, immaginavano di star morendo di fame, freddo o solitudine. Avevo ormai compreso che la mia esistenza sarebbe terminata in quel modo, così decisi di passare gli ultimi istanti rimasti canticchiando a voce bassa una canzoncina che ricordavo a memoria, scritta da mio nonno per mia nonna a cui lei ripensava sempre quando eravamo sole in casa e mi preparava dei dolci. Erano i genitori di mio padre, ebrei anche loro.

Hannah mia, dal profumo di rosa e la pelle candida
Anche se il tempo volerà via io sempre ti avrò nel cuore.
Promettimi che guarderemo il cielo stellato ogni notte
Promettimi ... 

Scoppiai a piangere. Avevo troppa paura di morire. Sperai che mia nonna non se la prendesse, forse mi voleva accanto a sé, al nonno, a mamma e papà; però non avevo affatto coraggio. Non ero capace di nulla e neanche di quello, egoisticamente volevo solo scampare alla morte mentre affrontarla sarebbe stato l'ultimo dei miei pensieri. Poco dopo, sentii le altre donne agitarsi, balzare in piedi alla vista di un fumo o vapore uscire con una certa pressione da quel condotto d'aria posto ad un angolo della stanza. Ne uscì relativamente poco, per un minuto o forse due, ma le grida delle altre mi condizionò tanto che mi strinsi più con le ginocchia al petto e la testa tra queste, pregando, esasperata, solo di uscire da lì.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora