Una realtà senza colori [revisionato]

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È eterna la vita se riesci a capirla, non ti chiedo di amarla ma di riuscire a sentirla. È eterno un ragazzo che sogna con gli occhi bagnati, la tua voce al mattino che azzera gli incubi e gli anni passati. È eterno tutto questo se tu riesci a dargli un senso.

-L'eternità, Fabrizio Moro ed Ultimo.


-Lianne, è tuo?!- Replicò Luise con astio, stringendo nel pugno il foglietto che avevo tenuto con me da giorni.

-Io... Posso spiegare.-

-Certo, dì la verità, sei come Federica?!- Alzò la voce attirando l'attenzione di altre donne nella baracca, Federica compresa. -Da quanto tempo, eh?- Chiese ancora.

-Cosa?-

-Da quanto tempo vai a letto con questo qui?- Parlò con sempre più stizza, quel suo atteggiamento cominciò a darmi sui nervi.

-Io non ci sono andata a letto...-

-Ah no? Devo crederti? Non sono stupida, hai fatto lo stesso gioco di Federica, il doppio gioco.- Inveì ulteriormente, ferendomi davvero tanto. In lontananza sentii Federica mandare a quel paese Luise che non la degnò di uno sguardo, anzi, in brevissimo tempo venne affiancata dalle altre che avevano assistito a tutta la scena e nessuna sembrava credere alle mie parole.

-Cosa? Io non ci sono andata a letto, Luise. Ero in infermeria, ricordi? Mi... Mi aveva lasciato un paio di biscotti e quel bigliettino, nulla di più.- Mi giustificai in fretta dicendo unicamente la verità che peggiorò soltanto la situazione, vedendo l'espressione stupita ed infastidita sul volto di Luise.

-E noi qui a morire di fame.- Constatò con l'aspro in bocca ed un ghigno di incredulità. Scuoteva la testa e cercava conferma nelle altre donne a lei accanto, capendo se quelle mie parole le stesse sentendo unicamente lei o meno; inutile dire che anche loro mi osservavano con disprezzo, riducendo la mia figura metaforicamente ad una briciola per i loro occhi puntati addosso.

-Non li avevo chiesti. Io... Li avevo ritrovati lì. Cosa avrei dovuto fare, sputarli a terra, forse?- Cantilenai al suo stesso modo, mostrandomi severamente infastidita quanto lei. 

-Sì, li meritavi quanto noi quei biscotti.- 

-Cosa potevo fare?! Ascolta, tenterò di provvederne altri, davvero, lo sai che ti puoi fid...-

-Oh, sì, come no-, mi interruppe - perché non ci hai pensato questi giorni, eh? Conservare questo stupido bigliettino per cosa? Ah, credo anche di sapere di chi si tratta, sicuramente quel nazista alto e biondo che vediamo quasi sempre, che ci ronza sempre attorno. Ecco il motivo.- Appuntò incrociando le braccia al petto.

-Sei fuori strada, io non ho alcun rapporto con lui, né con altri.- Soltanto lì ho preferito mentire, sentendomi totalmente indifesa. 

-Basta, Luise. Non ha senso litigare tra di noi.- Intervenne Emily, poco prima che potessi ribattere ancora più irritata, lasciando andare fuori dalla stanza Luise seguita dalle altre. Rimasi soltanto con Emily e Federica che imparziale, preferiva starsene per fatti suoi, così mi sedetti su un letto portandomi le mani sul volto.

-Grazie.- Sibilai incredula ancora da tutta la situazione.

-Sono sicura che avrai le tue buone ragioni. Come stai, Lianne?- Mi sorrise.

-Non lo so, sinceramente. Tu come stai, Emily?-

-Sono stata meglio.- Sospirò per poi raccogliere il biglietto che prima Luise aveva gettato, malridotto e con gli angoli strappati. -Lo hai tenuto sempre con te?- Me lo ridiede.

-Da molti giorni, sempre nella tasca...- Non riuscii a resistere più, crollai in un pianto isterico, mugugnando e tirando su col naso, sentendomi poi accolta dalle braccia ed il petto caldo di Emily e la sua voce calma e rassicurante che mi stava confortando. Non riuscivo a stare meglio, però, tutt'altro; dovevo capire che non esistevano speranze e giornate gioiose lì, dovevo pentirmi subito in quel momento o nell'altro, nella foresta, capire che la felicità che stavo provando era unicamente egoista verso le amicizie che ero riuscita a crearmi in brevissimo tempo. Non meritavo quei biscotti, affatto, e per quanto mi avesse ferito Luise aveva soltanto ragione nell'evidenziare che non c'era alcuna differenza tra me e loro perché eravamo tutte prigioniere e che non avevamo possibilità di una vita migliore oltre quel recinto colmo di filo spinato. 

-Emily... Io... Io voglio morire.- Confessai tra i singhiozzi.

-Lianne, no, non dire queste cose... È grazie a te se io sono qui, lo sai, vero? Se ho la volontà di lottare per il bambino ed Adam.- Mi strinse a sé più forte e così notai bene come la pancia era dura, stava prendendo realmente forma. -Ti prego... Non pensare queste cose. Non sei così, la Lianne che ho conosciuto tempo fa non direbbe mai queste parole orribili. Ce lo ripetiamo ogni giorno, ci siamo e ci aiuteremo a vicenda, nonostante questi brutti ostacoli.- 


Ad averci cambiate era stato il campo: il freddo penetrava non solo nelle ossa, anche nell'anima, ed a poco a poco tutto attorno a noi prendeva solo le tonalità scure del grigio o il nero più assoluto; il silenzio era vigile più del suono, più delle parole, di rado, infatti, parlavamo e più frequenti erano gli sguardi indignati che gli abbracci di conforto. Non ero arrabbiata più con Luise, l'immensa negatività del luogo l'aveva inglobata.
Io vedevo solamente grigio, tutto eternamente spento e malinconico, di cui unici spruzzi vivaci e caldi erano gli occhi chiari e lucidi di Emily, che chiedevano quotidianamente cortesia e bontà. E... E perfino i suoi vedevo, stranamente i suoi: nella notte che precedeva, seduti tra quei faggi, mi piaceva osservare il suo colore così chiaro nel quale mi ci specchiavo e rivedevo una versione più bella di me, distinta dalla realtà. 

Quel giorno il tempo sembrò volare, scese subitanea la sera e, quando tutte si coricarono stremate, io uscii silenziosamente dal blocco dirigendomi lungo il sentiero che portava al punto prestabilito in quella foresta paradossalmente armoniosa e placida.  Avanzando i miei passi si facevano sempre più corti ed io ero sempre più insicura ma, non appena arrivai, i dubbi che mi assalivano scemarono del tutto, trovando Josef in piedi, accanto ad un faggio. Stringeva un pacchetto di sigarette tra le mani nel mentre guardava il cielo scurirsi; era davvero bello, pensai con spontaneità. Mi intimoriva la sua divisa, le decorazioni e le due S ben in vista, ma quando si voltò verso di me scrutandomi come era solito fare sorrise. Mi sentivo in colpa ma non riuscivo a controllare il sorriso ed uscì semplicemente spontaneo. 

Mi venne incontro confessando con un tono sorpreso: -sono felice che tu sia tornata qui. Hai creduto alle mie parole- Sorridendo nuovamente. Non vedere l'espressione dura che lo caratterizzava di giorno era un sollievo, Josef era veramente un bell'uomo, non lo potevo negare affatto. Ero contenta del non essere stata presa in giro, lo ringraziai con voce flebile, pensando unicamente a me, lui, in quella foresta. Nessun tormento nella testa, stavo bene.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora