Credo in lei [revisionato]

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Ditemi soltanto quando tutta questa merda sarà finita.


 
SAMANTHA'S POV

Passò una settimana dall'ultima volta che vidi Mikael. Si era dovuto trasferire momentaneamente in Polonia per ordini dei superiori, lui ed altri soldati vennero chiamati a sorvegliare Auschwitz, dove mi disse c'era un piccolo centro politico in cui non doveva permettere risse, una sorta di prigione in cui avevano arrestato dei nemici e complottisti; non aveva detto nulla di più ma sinceramente faticavo a crederci, mi sembrava strano, parlammo poco nei giorni prima della sua partenza e non riuscii a chiedergli altre informazioni riguardo Lianne.

Era mattina e mi ero diretta nell'ufficio di Cattald, un caro amico di Mikael, per chiedere delle informazioni riguardanti Buchenwald e già che c'ero anche sul luogo dove si trovava Mikael. Bussai ed un 'avanti' mi invitò ad entrare così trovai Cattald seduto alla sua cattedra a compilare dei documenti.

-Sì?- Chiese duramente.

-Buongiorno, sono Hoffmann.-

Allora alzò lo sguardo e si sorprese per poi sorridermi. -Oh, Samantha, che piacere vederti! Perdonami, credevo fosse il solito segretario che mi interrompe continuamente. Prego, accomodati.- Mi invitò a sedermi in una delle poltrone di fianco ad una finestra; egli si sedette sull'altra ed attese la mia parola. Wilhelm Cattald era un uomo più grande di Mikael, aveva trentanove anni, lo conoscevo da molti anni e ci davamo sempre del 'tu' in privato. Egli era sempre composto, curante del proprio aspetto da non tralasciare neanche una ciocca dei suoi capelli scuri fuori posto. Si accese una sigaretta per poi rivolgere tutta la sua attenzione alle mie parole.

-Volevo chiederti delle informazioni riguardo Buchenwald.- Esitai per un momento.

 -So che Mikael è stato trasferito ad Auschwitz.- Appuntò col tono un po' sorpreso e nel mentre inalò del fumo.

-Sì, il punto è... Che lì si trova una mia amica per sbaglio.- Alla mia confessione alzò un sopracciglio. -Si chiama Lianne, Lianne Mich. È tedesca, non è neanche ebrea e si trova lì da circa un mese.-

-Non è ebrea?- Assottigliò, gettando la cenere in eccesso.

-No. Insomma, lei non lo è affatto, ha sempre praticato la religione cattolica quanto me e gli altri, non sa nulla dell'e... Ebraismo?- Continuai ma ebbi l'impressione che mi stesse ascoltando poco; prese un mucchio di carte ed iniziò a sfogliarle ininterrottamente -Tutto ciò che so è che i suoi nonni paterni erano ebrei ma ciò non dovrebbe coinvolgerla. Wilhelm, te ne prego, vorrei solo che venisse fatta uscire...- Tradii l'apparenza razionale implorando con voce tremante. Anche le mie mani non riuscivano a restare ferme ed il silenzio allora presente non aiutava affatto.

-Ecco qua. Lianne Mich, portata al campo di Buchenwald tre martedì fa. Purtroppo, Samantha,  non posso fare molto io. È passato anche del tempo tempo e, ad essere sincero, credo che sia tardi.- Commentò atono, riponendo i documenti sulla sua cattedra.

-C...Come?-

-Ha capito bene. Il massimo che può fare è vedere di persona e... Non so cosa dirle, soltanto che non le sarà permesso entrare. Spero sia brava a scrutare da lontano.- Assunse la terza persona con un sorrisetto fastidioso sulle labbra. -Il suo uomo è al campo di Auschwitz, Buchenwald è nulla a pari.- Sembrò darsi le arie e proprio al termine della frase terminò anche la sua sigaretta, buttandola nel posacenere pieno.

-Campo di Auschwitz..?-

-Per Dio, non conosce quel campo di concentramento? Mikael non le ha detto nulla?-

-No...-  Mi crollò il mondo addosso. 

Uscii da lì il prima possibile e non trattenni un urlo di frustrazione non appena sbattei la porta d'ingresso. Come aveva potuto Mikael mentirmi, lo odiavo, odiavo tutto di lui, non volevo più vederlo, desideravo rompere qualcosa, bruciare tutte le nostre fotografie, sbattere a terra le cornici e spaccare i vetri. Lo feci e la sensazione di liberazione non perdurò, anzi, mi sentii soltanto peggio, sconfitta, amareggiata, illusa. Come aveva potuto... Come..? Tirai i pugni al cuscino, fino a quando la forza mancò ed al suo posto la federa si inumidì a causa delle mie lacrime. Mi mancava da morire Lianne e mai avrei pensato che un giorno sarebbe accaduto tutto quello. 

Un attimo dopo arrivò Lulu in camera che subito si lanciò tra le mie braccia e leccò una mia guancia, strappandomi un sorriso. -Piccola mia, non mi lasciare mai, per favore.- Come se mi capisse, abbaiò energica e si aggomitolò sul bordo del letto scaldandomi appena le gambe col suo folto pelo. -Lulu, ce la faremo io e te. Lottiamo per Lianne.- Baciai la cagnolina sul muso morbido e sperai davvero tanto che la mia migliore amica stesse bene. Lei era forte e potevano dirmi qualunque cosa ma mai avrei creduto che non ce l'avesse fatta.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora