C'era una ragazza in quel campo. Una come tante, dai corti capelli scuri ed un paio di occhi magnetici, capaci di catturare perfino il diavolo.
Ma ciò che uccideva era il suo sorriso: era così debole e finto che attanagliava anche un mostro, lo stesso che portò ella a quella condizione.
Il piccolo canarino nella gabbia cantava, non canzoni di gioia ma pianti disperati, voleva gridare mentre lentamente gli stavano tappando le ali.Titubante presi il disinfettante e tamponai delicatamente sulla sua ferita.
La mia mano tremava, avevo paura di fare qualcosa di sbagliato e neanche sapevo perché mi ero offerta di volerlo aiutare. Certo, mi piaceva aiutare le persone, chiunque fossero, vederle col sorriso e sapere di aver fatto molto per farle stare bene era così appagante per me, una sensazione inimmaginabile. Avevo sempre avuto il desiderio di vedere tutto il mondo felice, buono e amorevole, senza guerre ed eccidi, senza la violenza e il potere che manipolava solo la mente del popolo. Era così, per me non esistevano persone cattive, erano semplicemente ignare dalla smania di potere e di proprio interesse che non si rendevano conto di ciò che avveniva fuori.Sentii gemere Josef e mi bloccai.
-Mi scusi.- Mi affrettai a dire. Egli era voltato e non potevo vedere il suo volto, doveva essere furibondo, respirava solo profondamente.
-Continua, ebrea.-
-Bene.- Continuò lui, alzandosi dalla sedia. Improvvisamente, mi sbatté al muro rivolgendomi uno sguardo profondo di odio, davvero intimorente. -Senti, non pensare chissà cosa, tu sei solo un mio oggetto... Come tutti gli altri.- Ripeté col tono gelido e sprezzante. -Se ti trovo ancora a gironzolare di notte ti punisco per bene, prima ti violento, poi ti butto nelle camere a gas, godendo mentre tu morirai.- Continuò facendomi impaurire ancora di più.
Mi lasciò andare ed evitò l'ennesimo contatto visivo. Corsi verso la mia baracca piangendo, sotto quello che pareva proprio essere un forte temporale. I vestiti zuppi si impegnarono non solo di acqua, umidità e sudore ma magari più della mia vergogna e stupida illusione che, come al solito, mi portavano solo gratuitamente verso i guai.
-Lianne.- Federica era appena rientrata e mi venne ad abbracciare, straordinariamente, poiché piangevo ancora, seduta sul letto. -Perché sei sveglia, ancora?- Mi fece notare; infatti Sarah e Luise erano ormai crollate dal sonno.
-Io dovevo... Dovevo cercare del cibo per Emily... È scomparsa Elisa...- Risposi tutto d'un fiato con le lacrime agli occhi. - Sono andata a cercarla e... E non l'ho trovata.- Mi sentivo troppo inadeguata per parlare di quell'essere.
-Io non l'ho incrociata per la via... Forza, Lianne, vedrai che tornerà.- Si sedette accanto a me.
-Tu sei andata come ogni notte in quel punto..?- Le chiesi io.
-Sì...-
-Quel soldato ti violenta?-
-È un comandante. Purtroppo devo, mi ha promesso di salvarmi il più presto possibile. Potrei sembrare egoista ma non ho altra scelta...-
-Ma... Tu gli credi?-
-Non lo so.-
Il nostro dialogo finì lì, era davvero molto tardi e mancava poco all'alba...
Balzai dal letto notando di essere immersa in un bagno di sudore. Di fronte a me vedevo Sarah e Luise preoccupate, la luce fioca del mattino sembrava anche essere troppo forte per me. -Cosa... Cosa è successo?- Avevo ancora la voce roca.
-Ti eri agitata, hai parlato nel sonno... Mi hai anche tirato un pugno al braccio.- Appuntò Luise scherzando sull'ultima parte. Quando entrò una kapò feci in tempo a nascondermi per bene dietro il letto e, successivamente, uscii di lì quando ella andò via. Luise sospirò: -Sai, non ho fatto più quel bel sogno di cui ti parlavo.-
Tutte uscirono per l'appello promettendomi di riportare qualche avanzo della colazione anche se ero convinta non sarebbe bastato neanche a loro. In quella insolita quiete riuscii a distendermi sul letto al fondo della stanza, abbastanza nascosto dalla porta, e lasciai socrrere i pensieri senza reprimerli, per sfogarmi. Avrei dovuto ritenere quella come una seconda vita, più amara e schietta, in cui il passato non contava nulla, come se non esistesse, la mia identità svanita ed al suo posto io portavo il nome di 864210. Magari avrei dovuto separarlo in nome e cognome, 864 210, ma di certo non cambiava molto. Come un prototipo uscito male, una difettosa macchina senziente inutile a quel mondo avariato e con sbagliati principi morali, io meritavo unicamente di morire soffrendo.
-Sembri molto pensierosa.-
Sobbalzai e mi coprii il più possibile dietro il letto, cercando con lo sguardo la fonte di quella voce, finché non vidi davanti a me la ragazzina dell'altro giorno, Rachele.
-Mi hai spaventata.-
-Scusami, non intendevo. Che fai qui?- Si avvicinò sedendosi anche lei sul letto.
-Devo nascondermi finché non toglieranno di mezzo i documenti con le prove della mia finta morte. Tu come hai fatto ad entrare qui senza dare sospetti?-
-Non c'era nessuno. Ora sono tutti concentrati ad ovest del campo. Io sono rimasta sola da molto, i miei amici non ci sono più.- Confidò lei, ora guardandosi i piedi.
-Quindi sei completamente sola? Come hai fatto a sopravvivere?- Chiesi davvero sorpresa.
-Oh, ma io vivo se mi danno la forza e la speranza.- Mi sorrise debolmente e per un attimo rividi la piccola me nei suoi occhi. Stesso sorriso e stesso sguardo. Aveva pienamente ragione.
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Rose e spine [IN REVISIONE]
Romance[AVVISO: la storia è entrata nuovamente in revisione, i capitoli che saranno riscritti ufficialmente per la seconda volta conterranno un ◾] Storia ambientata all'apice del nazismo, focalizzata su un campo di concentramento e di come, nonostante mill...