Sai cos'è la vita?

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'' Ho bisogno di perderti

per venirti a cercare.

Altre duemila volte,

anche se ora sei distante. ''

-Duemila volte, Marco Mengoni

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-Rachele!!- Esclamai, trovando la ragazza gracile e dalla pelle pallida di fronte a me. -Non ti ho più vista... Ho temuto il peggio...- La vidi sedersi accanto a me, sotto la finestra. Teneva sempre i capelli corti lungo le spalle ma mi parevano più scuri rispetto a come ricordavo.

-Lianne, sono contenta di vederti.- Si limitò ad un sorriso mentre restava immobile fissandomi.

Indossava i soliti panni rovinati e strappati sulle maniche, così larghi che riuscivano a coprirle completamente le braccia, e nel frattempo, una ciocca spettinata le copriva interamente una guancia, dandole un'aria più matura, poiché nascondeva le guance rotonde che le donavano un viso angelico e armonioso.

-Quando sei arrivata??- Chiesi incuriosita.

-Proprio ora, sono contenta di dare una mano a te, ci sosteniamo a vicenda, giusto?- Chiese conferma nei miei occhi e per un attimo mi passò un brivido come da avvertimento. 

-Sì, anche se mi hai già aiutato abbastanza, ti devo molto.-

-No, ma cosa dici. Siamo amiche, se non ci aiutiamo ora, quando lo faremo?- 

-Hai proprio ragione.- Ci rialzammo in fretta da terra per poi riprendere il lavoro, con la costante paura di ritrovarci il comandante alle spalle. Un pensiero andò a Luise, che era ancora al piano di sopra.

Dovetti pulire una credenza piuttosto ingombrante in cucina e nel frattempo notai come Rachele si dedicasse con cura nel sistemare dei fiori e delle tovaglie ben ripiegate senza il minimo sforzo o dissenso. Sembrava farlo persino con piacere.

-Rachele,- Si girò verso di me ed abbandonai il mio lavoro. -Eri rimasta sempre nello stesso blocco, in questi giorni..?- 

-Certo, perché me lo chiedi?-

-Io...- Esitai un po' a rispondere ma dopo mi feci coraggio, sentendo come se a lei potessi confidare i miei pensieri. -...Conosco uno dei soldati. Insomma, è una storia un po' difficile da spiegare, ma qualche giorno fa gli chiesi di controllare il tuo blocco e mi riferì che era completamente vuoto...-

-Bugie, io c'ero. Ero nascosta, non mi ha vista bene.- Scrollò le spalle.

-Ma sei rimasta sola.-

-Purtroppo sì. Loro sono spietati, li hanno portati nelle camere a gas senza più vedere i propri genitori. Hanno anche mentito loro, dicendo di andare in un posto speciale.- Continuò con sguardo vitreo e lasciando la pezza cadere a terra. -Come fai ad essere loro amica?- Mi chiese, poi, facendomi rabbrividire.

-No no no, io non sono loro amica. Conosco solo uno di loro, ma non è cattivo, lui è un soldato buono che sta anche cercando di aiutare me e noi tutte, come può.-

-Ti fidi di lui?- Chiese nuovamente con stizza.

-Sì. Di lui sì.-

-Spero che tu abbia ragione. Io li ho visti come si comportano, come parlano, come trattano noi, prendendoci in giro continuamente. Se questo soldato è diverso da loro è veramente un tipo raro, con del sale in zucca, diciamocelo.-

-Lui non è come loro, ne sono certa. È grazie a lui se non sono ancora morta.- Guardai il pavimento come per cercare del conforto.

-Va bene.-

Calò il silenzio nuovamente, un freddo improvviso entrò nella stanza attraversando anche le mie maniche larghe. Era buio, ormai.
Ebbi quasi terminato il mio lavoro quando sentii uno sparo, piuttosto ovattato, su per le scale.

No.

Volevo tanto sbagliarmi.

Per la paura mi cadde un piatto dalle mani spaccandosi in mille pezzi, cosicché alcuni cocci mi tagliarono anche le gambe ma non ne davo importanza. Ero immobile. Come paralizzata.
La tentazione di salire al piano sopra era altissima, pur sapendo che mi avrebbero punito per essermi allontanata dal lavoro.

-Dovresti andare a controllare.- Mi consigliò Rachele avvicinandosi con una paletta per raccogliere il caos creato da me a terra.
Le diedi retta, senza esitare un attimo in più, salii con furia le scale fermandomi davanti all'unica porta al momento chiusa, dalla quale, sentivo, era potuto partire il colpo.

Questa si spalancò e ne uscì un comandante ubriaco, uscito di senno, con addosso solo dei pantaloni e la cintura slacciata, mentre ghignava e parlava tra sé e sé, barcollando per il corridoio.

Lo superai non curandomi delle sue sgridate, più senza un filo logico, entrando con uno scatto nella stanza rivelandosi la sua camera da letto, con quest'ultimo sfatto, i cuscini a terra ed una macchia rossa sulle lenzuola che non sembrava altro che sangue.

Percorsi tutta la stanza trovando la povera Luise a terra mentre si teneva stretta la vita.

-Luise!!- Mi avvicinai a lei cercando in tutti i modi di aiutarla ad alzarsi, ma ad ogni tocco un lamento, così mi sentivo impotente e priva di idee su come fare.
Spostandole di poco la mano vidi sangue sgorgare dalla seta della divisa da cameriera ed un foro proprio al centro dello stomaco.

Tolsi il lenzuolo cercando di coprire al meglio la ferita ma più passavano i minuti e più questo si tingeva di rosso macchiando, di conseguenza, anche le mie mani.

-Luise, calmati, ci sono io, sono Lianne.- La avvicinai adagio a me, sentendo i battiti accelerati del suo cuore ed il respiro affannato dal quale riusciva ad esalare solo alcune sillabe sconnesse.
-Luise, respira, ci sono io.- Tentai più volte di calmarla finché non riuscii a trovare un qualcosa per poter estrarre la pallottola dal suo stomaco.

Trovai un filo di ferro dentro l'armadio, l'unica cosa possibile.
Non era sterile ma non potevamo fare in nessun altro modo e avrei dovuto agire alla svelta.

Bruciava, lo sapevo. Nel frattempo si impregnò la mia maglia di sangue finendo anche sul pavimento.

-Tesoro, ho finito, tranquilla, va tutto bene.- Abbracciai con delicatezza Luise che mugolava qualcosa, tremando.

-Lianne... Non voglio morire...-

La guardai sconcertata.
Una mia mano passò dolcemente sulla sua guancia per poi arrestarsi sul suo braccio cercando di far smettere quel tremare eccessivo.
Aveva gli occhi lucidi, poco a contatto con la realtà; le labbra secche ed il corpo in parte grondante di sangue.

-Piccola, non dire queste cose. Ci sono io, non ti lascerò andare.- Le lasciai infiniti baci sulle guance, cullandola come potevo per calmarla.

Respirava più a scatti, le mancava il fiato e tremavo anch'io poiché ero con le mani in mano, non potevo fare niente.

-Rachele...- Cercai di chiamarla ma tutto inutile. Piangevo ininterrottamente, per poi voltarmi verso Luise e vederla immobile come pietrificata.
Sulle guance ancora c'erano le sue lacrime calde.
Gettai un urlo di frustrazione così forte da farmi sentire in tutto il mondo, piangendo continuamente e, tra una pausa e l'altra, scusarmi per non essere stata in grado di salvare neanche lei.
La dolce Luise, non aveva neanche la matura età che già la sua anima dovette volar via, in un posto sicuramente migliore di quello.

Urlavo, urlavo soltanto, finché mi sentii strattonare da altre domestiche, ben più grandi di me, che avevano ora cominciato il loro turno.

Non volevo lasciarla lì, lottai per rimanere ma non potevo fare più niente. Mi rispedirono nella baracca ma non riuscii ad arrivare al letto perché crollai appena prima, in preda ad ansia e frustrazione.

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora