L'amore nella guerra- 2° [revisionato]

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Era lì il suo bambino. Era vivo. Dopo interminabili giorni, dopo numerose fatiche, era riuscita a vedere il sorriso del suo bambino, così piccolo e tenero che la commosse, non quanto, però, quando egli corse verso di lei e la abbracciò gracile, dicendo che era tutto finito, che avevano vinto. Poiché ogni guerra può dichiararsi finita se è presente un bambino felice, allora la guerra stessa ha perso e l'umanità ha vinto. La bontà ha vinto.
Una madre vince sempre quando vede il sorriso del proprio figlio.

-Dalla scena finale del film La vita è bella

Quando aprii gli occhi un fascio di luce abbagliante mi accecò così tentai di coprirmi con un braccio a fatica. Poco dopo scomparve quella luce così forte permettendomi di vedere nei dettagli una piccola stanzetta bianca, con pochi arredi e anche piuttosto fredda ed aveva l'aria di essere una stanza di ospedale.

-Bene.- Disse un uomo. La sua voce non mi era famigliare, forse era finita la guerra? Mi avevano salvata? O forse ero... Morta?

La luce si spense del tutto e notai fosse di uno strumento di un medico che mi stava visitando. Tentai di alzare la testa per vedere meglio il luogo ma mi intimò di rimanere allungata poiché doveva fare altri controlli. Il medico dal camice color avorio si appuntò i riflessi delle mie gambe e poi premette le braccia per irrigidire delle vene, era piuttosto invasivo e noncurante del dolore che stavo sentendo. Egli mi fece poi un prelievo del sangue; osservavo tutto con massimo interesse poiché era ciò che studiavo anch'io, solamente che il medico usava meno accortezza di quanto ce ne sarebbe voluta. Insistette sui miei occhi e non sapevo cosa ci fosse di strano, erano verdi. Magari non azzurri e limpidi come i suoi. Andò via senza rivolgermi una parola e non troppo tempo chiusi gli occhi e mi addormentai.

Mi risvegliai per il trambusto fuori dalla porta, un dolore lancinante alla schiena mi bloccò violentemente, mi morsi le labbra per non gridare, ed in quel momento qualcuno entrò. Era lo stesso medico di prima, affiancato ora da Josef molto alterato. Non sapevo perché ma mi sentivo sollevata nel sapere che lui stesse lì. Il medico mi fece nuovamente sdraiare con poca grazia e prese alcuni bisturi e aghi scaturendo ansia a mille in me. Era interessato notevolmente ai miei occhi e d'istinto li coprii con le mani, temendo me li volesse cavare o atrocità simili.

-Ho detto di no.- Sentii la voce dura di Josef ma tenevo ancora le mani in volto per difendermi. -Lasciamo fare ciò a Mengele, non ti pare?- Di chi stava parlando?

-Aargh, certo, solo perché sei il figlio del mio caro amico Oskar. Non prenderti troppe libertà, chiaro, ragazzo? Gli altri non sono buoni come me.- Pareva così viscido e ironico che facevo fatica a trattenere il vomito.
Il medico si limitò a sostituire le bende alla spalla e schiena pregne di sangue secco con altre pulite e bianche come il latte.
-Fatto. Il mio lavoro è finito, devo tornare da mia moglie. Josef, salutami tanto tuo padre.- Senza degnarmi di uno sguardo il medico andò via chiudendo la porta.

Il ritmo del mio cuore tornò irregolare constando solo più tardi che in quella stanza così spoglia e fredda ero solo con Josef. Lui era fermo al suo posto vicino la porta e si stava sistemando la divisa mentre io aguzzavo al meglio la vista per cercare qualcosa con cui difendermi: c'era solo un piccolo bisturi che Josef prese e si infilò in tasca prima che potessi arrivarci io.

-Potresti ferirti inutilmente.- Si limitò a dire atono.

Alzai lo sguardo ed incrociai i suoi gelidi occhi. Non sapevo che fare, mi lasciava interdetta ogni volta e tutta la rabbia che avevo diminuiva in quel momento, forse era un suo tranello. Il suo sguardo non cedette neanche per mezzo secondo mentre io cominciai a tremare ed abbassai involontariamente la testa fissando le mie ginocchia sporche. Si divertiva, forse, a mettermi in difficoltà ogni volta, persona più manipolatrice di lui non poteva esserci.

-Dovrai restare qui per due giorni, non riusciresti a camminare neanche per qualche metro e ti porterebbero di nuovo a rischiare la vita col gas. Per cui, se ciò non ti interessa, resta qua e fa' la buona.- Aggiunse.

-Grazie...- Sussurrai.

-Tra un po' di ore ti porterò la cena, hanno incaricato me.- Chiamare cena la solita zuppa fredda e insipida era un eufemismo.
Eppure mi sembrò quasi una gioia... Sarei rimasta lì per due giorni e ciò equivaleva a non dover faticare per due stramaledetti giorni.
-Questa è la seconda volta che mi dici 'grazie'.- Ripeté lui quasi imitando il mio sussurro e in quel momento rialzai lo sguardo per poterlo osservare, sembrava così rilassato.

Era una tregua per me quel momento. Quel momento in cui Josef non mi scherniva e non c'era nessuno a maltrattarmi o ad obbligarmi ai lavori forzati, non c'erano urla ma solo silenzio e,nonostante fossi accanto ad un criminale, potei quasi rilassarmi anch'io, respirare profondamente e recuperare tante ma tante energie.
Josef era seduto e guardava il vuoto; non riuscivo a fare a meno di osservarlo a fondo, per una volta che mi era così vicino e non mi stava facendo del male, anzi, sembrava quasi il contrario. Il suo volto mostrava cenni di un fanciullo, naso molto dritto, sopracciglia non tanto folte, zigomi poco pronunciati, guance rase, capelli tirati indietro così luminosi, un biondo strano, per nulla comune. Sembrava quasi un angelo dall'aspetto, forse solo da quello. Anche se la sua stessa voce, per quanto dura volesse apparire, era rilassante nei rari casi in cui non doveva urlare.

Odiavo Josef, quasi quanto il corvo, ma da quei pochi giorni sembrava quasi un'altra persona addirittura; ammettevo che mi piaceva quella sensazione di pace momentanea, davvero tesoro in quel campo.

Mi venne spontaneo sorridere alle parole di mia nonna che si proiettarono nella mia mente in un lampo: mi disse, dopo che i miei genitori ci lasciarono, che avrei meritato di sposare un uomo alto, bello, forte, con una voce soave e che soprattutto mi faceva stare bene. Era un po' infantile pensarci ma volevo sentirmi bambina per un attimo, rilassarmi riflettendo su cose seppur frivole ma che avrei tanto voluto provare nella realtà.

-Perché sorridi?- Chiese Josef con una nota di rimprovero. Non avevo notato mi stesse osservando.
-Lo voglio sapere.- Insistette lui e mi stupì quella reazione.

Senza esitare gli risposi molto spontaneamente e senza più tanto timore: -vecchi ricordi che mi hanno scaldato il cuore...- Sempre in un sussurro che lui parve udire bene.

Josef si alzò bruscamente dalla sedia e si avvicinò a me, forse avevo detto qualcosa di sbagliato o fatto qualcosa fuori posto. Mi prese il braccio destro con poca grazia ed osservammo entrambi che la ferita era nuovamente aperta e stava uscendo troppo sangue, talmente tanto da aver sporcato completamente la fasciatura. A mia sorpresa, fu quella volta Josef a ripulire braccio e la spalla, cercando di essere anche abbastanza delicato.

-Sarà destino, dopo che tu hai medicato me io ora lo faccio a te.- Aggiunse a bassa voce senza distaccare lo sguardo dalla ferita. Non riuscii ad aggiungere nulla, mi venne spontaneo solo sorridere appena una volta ancora...

Rose e spine [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora