"I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E perciò nulla può mai essere praticamente inutile, almeno non a lunga scadenza."
Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme.
Ottobre portava con sé odori e percezioni differenti: il freddo incombeva e, assieme ad esso, il tramonto era sempre meno distante dall'alba. Anche chiudendo gli occhi non riuscivo ad immaginare uno scenario migliore, idillico, l'immaginario sfiorì, l'essenza appassì; tutto preferì tacere il più possibile. Fulminei sguardi tra me e le altre internate, nessuna sprecava più fiato. D'altro canto, nessuna voleva sentire qualcun'altra parlare o anche solo lamentarsi; si assentavano i sorrisi perfino di Emily, a cui precedevano smorfie o guance salate. Ciò che riuscivo a stento sentire ancora ''mio'' era l'ammirare il desolato paesaggio, l'alba innalzarsi che tentava ogni giorno di scaldarci il più in fretta possibile caviglie e braccia ma non si udivano le voci dei soldati o degli internati. Stavo lì, seduta sulla soglia della porta, ad attendere un flebile raggio di sole. Qualcuno si alzò presto quanto me e mi venne incontro per infastidirmi, probabilmente come suo scopo.
-Piuttosto prestino,- avanzava con la sua solita camminata spavalda aspettandosi che lo degnassi di uno sguardo. -hai avuto una bella idea, ammirare l'alba.- Continuò, voltandosi verso l'orizzonte però non tanto visibile. -Ti andrebbe di venire con me?- Aggiunse col suo solito fare lascivo, spezzando del tutto il silenzio che a fatica ero riuscita ad ottenere. -Appena dopo l'alba, che te ne pare?- Ghignò come al solito. Nessuna risposta arrivava e di conseguenza il corvo mi trascinò bruscamente con sé, in una delle minute baracche vuote, bramando solo una cosa.
Ad ogni tocco trasalivo, il suo sguardo pesante su di me mi intimoriva così tanto che persi la forza di oppormi e nonostante io tentassi di pensare ad altro o guardare altrove lui mi stringeva il volto con una mano costringendomi ad osservarlo, ritraendo piacere anche nel mio terrore ben visibile. Lo odiavo da morire però odiavo più me stessa per essere sempre così vulnerabile.
-Ci vediamo questa sera.- Aggiunse con un avvertimento, lasciandomi andare appena dopo.
-Lianne, non hai mangiato nulla.- Notò Emily.
Non ce la facevo a mangiare. Johann mi aveva fatto perdere l'appetito, era così tremendamente viscido che non riuscivo neanche a guardare negli occhi le altre.
-Lianne, forza, mangia.- Mi scosse leggermente Emily, visibilmente preoccupata. -Come fai a recuperare energie, altrimenti...- Poi fece una piccola pausa e rifletté: -oggi ci sarà lui?-
-Josef, sì, sì... Deve controllare la zona tutto il pomeriggio...- Sussurrai.
-Vedo che ti fa piacere questa notizia, ti è spuntato il sorriso, finalmente.- Constatò con dolcezza, aveva ragione, come sempre.
Quel giorno le mansioni lasciate a noi erano cambiate ancora una volta, andava a seconda del numero di internati che diminuiva bruscamente per poi risalire delle volte. Mi arrivò la voce da altre donne che nel pomeriggio l'ennesimo treno sarebbe arrivato, trasportando una gran ed indifferente quantità di persone, ma non avrei potuto assistere nuovamente dato che avevo l'obbligo di pulire la cucina e preparare il pasto per quella sera ad una ventina di soldati. Mi sentii sola ma la consapevolezza del restare un gran numero di ore al chiuso, col pessimo tempo all'esterno, era sollevante. Stavo lavando dei piatti quando sobbalzai sentendomi delle mani sulle spalle.
-Non volevo spaventarti.-
-Josef!- Feci cadere per sbaglio una pentola ed il rumore si propagò per tutta la cucina.
-Devo controllare come procede il lavoro...- Aggiunse raccogliendo lui la pentola, per poi restare in silenzio.
-Sta andando bene...-
-Mi fa piacere.- Ammise. Volli cercare il suo sguardo, noncurante dell'acqua gelida che scorreva sul dorso della mia mano. Anche se la luce alle nostre spalle non mi permetteva di vedere bene i lineamenti del suo volto potevo sentire distintamente il suo profumo ancora, ammettevo che mi piaceva tanto.
-Stai bene..?- Chiese visibilmente preoccupato. Si avvicinò così in fretta a me che per l'ansia indietreggiai sbattendo forte al bancone ma lui riuscì a prendermi in tempo il braccio per non farmi cadere. Lo ringraziai in fretta, senza aggiungere nulla, così prevalse ancora una volta il silenzio. Josef sorrise leggermente, porgendomi un fagotto contenente dei panini.
-Una volta il salato.- Aggiunse strappandomi una risata.
-Ti...Ti ringrazio.-
-Mi hai ringraziato troppe volte per quante ne meritassi io in realtà.- Confessò con amarezza.
-No, davvero, è un gran rischio questo...- Allusi al cibo che nascosi in tasca momentaneamente.
-Rischierò ancora.- Replicò deciso, sorprendendomi nuovamente.
-Perché..?-
-Non so spiegarlo ma credimi, non ti sto prendendo in giro.- Mi prese delicatamente le mani. -Lianne, non so davvero spiegarlo ma succede e basta.-
-Io...-
-Sei tu ad avermi aperto la mente, dopo tutte quelle volte che ti ho fatto tanto male... Troppo male... Mi sento ancora una persona terribile per questo ma sto dicendo solo la verità...- Esalò con voce strozzata l'ultima frase, con occhi lucidi e fissi nei miei, senza che io riuscissi a deviare lo sguardo negare di star soffrendo come lui in quel momento. Gli asciugai una guancia pungente e calda, quando sentii che lui tenne stretta la sua mano sulla mia, volendo darmi un bacio sincero una seconda volta, senza aggiungere nulla ma stringendomi di più a sé cosicché persi del tutto la condizione del tempo.
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Rose e spine [IN REVISIONE]
Romance[AVVISO: la storia è entrata nuovamente in revisione, i capitoli che saranno riscritti ufficialmente per la seconda volta conterranno un ◾] Storia ambientata all'apice del nazismo, focalizzata su un campo di concentramento e di come, nonostante mill...