capitolo 38

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Giada

I miei occhi scivolano dal volto stupito di Tiziana a quello curioso del suo accompagnatore e il mio mondo si ferma. Lo guardo e lui fissa me, un timido sorriso è dipinto sul suo volto paffuto, ma non è quello a tenermi avvinta: sono i suoi occhi... identici a un altro paio che ho sempre amato e in cui mi sono tuffata ogni volta che ho avuto bisogno di sostegno e affetto.

È il telefono di Tiziana a spezzare l'incantesimo e la sua incapacità di rispondere ad attirare la mia attenzione, ma chi la cerca è determinato a parlarle e lei alla fine cede. Mi permetto di studiarla mentre è intenta ad ascoltare il suo interlocutore e mi stupisco di quanto sia cambiata; non solo nell'aspetto ora più sobrio, ma anche nel modo di porsi ormai privo di quella spavalderia che la contraddistingueva. Resto ancora più basita quando pronuncia il nome di chi le sta parlando, l'ultima persona che avrei mai potuto immaginare.

"L'ho appena incontrata Davide, siamo al cimitero..." dice per poi tornare in ascolto e aggiungere: "Va bene, ti aspettiamo qui." Le ultime parole di Tiziana, prima di mettere giù, sono precedute dalla vocina del bambino che ha accanto che, confermando parte dei miei dubbi, la chiama <<mamma>> per attirare la sua attenzione. Lei si china all'altezza del piccolo, lo accarezza con amore e poi gli parla con voce calma e zuccherosa. "Amore ti ricordi che ti avevo parlato di una zia che vive lontano da casa nostra?" Il bambino annuisce ed io seguo il loro scambio di battute con la massima attenzione e il cuore in tumulto. "Ti ricordi che nonna Ester ti aveva mostrato delle foto sue e di papà?" Il piccolo dà un'altra volta il suo assenso e alterna lo sguardo dalla madre a me. "Ti va di presentarti tu alla zia?" La voce di Tiziana è incrinata da un'emozione che non riesco a capire, non so se è paura o altro, non riesco a concentrarmi su di lei, sono troppo impegnata a tenere insieme i pezzi di me stessa. Le orecchie mi fischiano e credo che la mia pressione sia schizzata alle stelle. Mille teorie si affollano nella mia testa e mentre il bambino si avvicina, tenendo la sua mamma per mano, mi sento mancare la terra da sotto il sedere. Dio... credo che non riuscirò mai più a rialzarmi da questo pavimento, improvvisamente non ho più forze.

"Io sono Andea e ho cinque anni." Dice il bimbo dondolandosi sui piedini e mangiandosi l'erre del suo nome proprio come <<lui>> faceva da piccolo. E non ce la faccio, non riesco a dire nulla...

"Giada..." Il mio nome pronunciato da Tiziana è una supplica; so che mi sta pregando di non turbare il suo bambino, ma le lacrime hanno già riempito i miei occhi al suono di quel nome: Andrea. Non può essere una coincidenza!

Nascondo il volto tra le mani e abbasso le palpebre continuando a ripetermi che non è possibile, e il mio cuore esplode quando una manina calda si poggia sulla mia testa e mi lascia una carezza.

"Anche mamma piange quando veniamo qua, ma papà si dispiace e anche nonna, non dovete fallo." La sua espressione risoluta fa a pugni con il suo gesto e in questo momento me lo ricorda tanto che mi sembra di averlo davanti. E allora agisco d'impulso, allungo le mie mani e racchiudo tra le braccia quel metro scarso di bambino sentendo immediatamente un forte senso di appartenenza.

Alzo lo sguardo in cerca di quello commosso di Tiziana, ha le braccia strette attorno al busto e l'espressione di chi è sopravvissuto a una catastrofe naturale.

Davide ci trova così, lei in piedi a osservarci emozionata ed io sul pavimento con un frugoletto tra le braccia.

"Papà!" Urla il bambino vedendolo e liberandosi dalla mia stretta gli corre incontro e lui lo solleva in aria e se lo stringe al petto. Dopo aver dedicato la sua attenzione ad Andrea, si avvicina a Tiziana, le bacia la fronte e le chiede se sta bene. Lei annuisce e la comunicazione silenziosa dei loro occhi è cosi intima da farmi sentire tagliata fuori e di troppo. Mi alzo convinta di aver preso un abbaglio e cerco di guadagnare l'uscita.

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