La precauzione ha un nome

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"FAITH, SCENDI AD AIUTARMI PER FAVORE" urla mia madre dal piano di sotto.

È rientrata solo ieri sera e già mi ha stressato. Mi ha raccontato per filo e per segno cosa ha fatto durante questo viaggio di lavoro, di quanto si sia annoiata durante le riunioni e di quanto sia stato infruttuoso questo incontro. Mi ha portato dei pensierini, vestiti rosa. Non so come farle capire che non li metterò mai, non voglio sembrare un confetto. Mi ha portato anche un paio di tacchi che mi hanno fatto perdere la testa.

Se lei mi ha raccontato tutto ciò che ha fatto, io ho preferito tenere per me cosa ho combinato. Alla sua domanda la mia unica risposta è stata:

"Nulla di che"

Non gli dirò che ho passato altro tempo con i miei fratelli, che gli ho fatto conoscere Matt. Non racconterò della loro gioia nello scoprire di essere bravi nel football, non racconterò dei loro occhi che brillavano quando hanno avuto la totale scelta del film e non racconterò che ci siamo abbracciati finchè non si sono addormentati.

Ha lasciato perdere quella bugia per chiedermi la cosa che le interessava di più: se sono stata da sola. L'ho rassicurata che Matt ha passato la maggior parte del tempo con me senza lasciarmi sola. L'unica cosa che non voleva è che rimanessi sola troppo a lungo. La preoccupazione che possa succedermi qualcosa da un momento all'altro purtroppo è sempre presente. Se mi fossi sentita male si sarebbe sentita in colpa per il resto della sua esistenza. Così abbiamo preso entrambe delle precauzioni. La precauzione ha un nome: Matt.

Esco dalla stanza per raggiungerla così da non farla sgolare nel chiamarmi ancora. Prima di scendere il primo gradino mi arriva un messaggio. Mi fermo in cima alle scale per leggere il messaggio che Matt ha scritto nel gruppo dove ci sono anche tutti gli altri.

"Che ne dite del sushi?"

"Si, non l'ho mai mangiato ma sono sicura che mi piacerà" risponde Kate.

Stiamo facendo programmi per la serata e l'unica cosa che interessa a tutti è il cibo. Non pensano allo stare insieme, a divertirci, a che luoghi visitare, no, pensano solo a cosa e dove mangiare. Blocco il cellulare e lo ripongo nella tasca.

Sono a metà scala quando avverto un forte dolore al petto che mi costringe a fermarmi. Porto una mano al centro del petto e faccio respiri profondi, proprio come mi hanno insegnato a fare in ospedale. Il dolore però non si allevia, anzi, diventa ancora più forte. Sono costretta ad aggrapparmi al corrimano per sorreggermi. Il dolore continua ad aumentare e mi costringe ad accasciarmi sulle scale. Gli occhi si riempiono di lacrime che però non riescono a scivolare via. Una fitta colpisce anche la testa che mi porta a stringermi le mani intorno ad essa. Apro la bocca per chiamare mamma, ma non esce niente se non un respiro affannato. Ho bisogno di aiuto. Chiudo gli occhi con la speranza che quest'incubo possa terminare da un momento all'altro.

"Faith, arrivi o..."

Mamma compare da dietro il muro della cucina e si accorge subito della mia presenza.

"OH MIO DIO!" urla mentre corre da me.

Mi prende il viso tra le mani muovendomi la testa a destra e sinistra. Corre in cucina per poi tornare di corsa con il cellulare all'orecchio e un bicchiere d'acqua tra le mani. Immerge le dita nel bicchiere e poi le porta al mio viso. Il sollievo dura poco, non abbastanza.

"Derek, o mio Dio" inizia a piangere lei.

La forza che ha avuto fino ad ora si è annullata quando Derek ha risposto alla chiamata.

"Fiath non sta bene, sembra che abbia una crisi io, io non so cosa fare.."

Silenzio. La vedo ascoltare le indicazioni che lui gli espone. Con la mano libera mi porta il bicchiere alla bocca e mi costringe a bere con la forza. La metà del liquido mi è finito addosso, sulla maglia, i pantaloni, giù per le scale e solo un piccola parte è riuscita a rimanere nella bocca.

Nel cuore delle comete #WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora