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Emma Brooks spalancò gli occhi e si trovò avvinghiata tra le braccia lunghe e sudaticce di un ragazzo bruno, ancora in boxer dopo la notte trascorsa. Provò a scostarselo di dosso, non riusciva quasi a respirare per il caldo, quello borbottò qualcosa e si voltò dall'altra parte senza dare segno di svegliarsi. Emma lo guardò attentamente qualche secondo, passato l'effetto dell'alcol non sembrava più così attraente.

Si trascinò fino al bagno con un tremendo mal di testa e si ficcò sotto il getto di acqua fredda della doccia nel tentativo di svegliarsi del tutto. Doveva smetterla di partecipare a tutte quelle feste universitarie. Lei neanche ci andava più al college.

Uscita dal bagno lanciò un'occhiata alla sua stanza. Sembrava scoppiata una bomba. Quando alloggiava al dormitorio era una discreta studentessa, simpatica, esuberante a volte, ma andava d'accordo con la sua compagna di stanza e non aveva una vita attiva. Poi era cambiato tutto e nulla aveva più avuto senso. Che cosa se ne faceva di una laurea? Aveva già un lavoro nella caffetteria del campus che le permetteva orari ottimi e una vita dignitosa.

Afferrò il beauty con dentro il necessario per il makeup e si passò una dose abbondante di eyeliner e mascara sugli occhi. Poi pettinò i lunghi capelli neri e colorò le labbra con una tinta color prugna.

«Ehi piccola», sentì mormorare alle sue spalle.

Alzò gli occhi al cielo, odiava essere chiamata in quel modo. «Credo tu debba andartene», disse senza voltarsi.

Il ragazzo del quale neanche ricordava il nome si mise seduto, stropicciandosi gli occhi confuso. «Non mi dai neanche il buongiorno?»

«Buongiorno. Adesso vattene. La festa è finita, sei congedato.» Emma non si scompose.

Ovviamente non era quello che lui si era aspettato. «Quindi è tutto qui?» domandò alterato.

«Cosa credevi? Di aver trovato la donna della tua vita?» rise lei sarcastica.

Un po' le dispiaceva, si vedeva che era un bravo ragazzo e non uno di quei palloni gonfiati alla quale era abituata. Probabilmente era anche alle prime esperienze.

«Che troia», sbottò prima di raccogliere le sue cose e sbattersi la porta alle spalle.

Emma sorrise rassegnata. Non era la prima volta che si sentiva appellare in quel modo, ma aveva smesso da tempo di farci caso. Sapeva di non esserlo. Una ragazza a cui piace il sesso e che va a letto senza impegno con un ragazzo deve per forza essere una poco di buono. E quando è il contrario? Ecco che spuntano gli eroi della patria! Scosse la testa. Tutti luoghi comuni. Tutti stupidi pregiudizi da ignoranti senza speranza.

Spalancò la finestra e si affacciò a fumarsi una sigaretta. Fuori si gelava, ma non ci fece troppo caso. Lanciò un'occhiata alla piccola libreria in un angolo della stanza, dietro al divano, dove erano ancora impilati i libri del suo corso di laurea, metà esami dati e l'altra metà no. Si era ripromessa molte volte di buttarli via, ma non lo aveva mai fatto, così come non aveva mai ritirato la sua iscrizione dal college. La sua posizione risultava in standby, sospesa per motivi di forza maggiore. Si sentiva a in un limbo, avrebbe tanto voluto che quella situazione non finisse mai perché le avrebbe evitato l'onere di dover prendere delle decisioni sulla sua vita. E lei non era molto brava in quello.

Lo squillo del cellulare la riportò alla realtà.

«Sì?»

«Emma, ciao, sono Mason», disse una voce dall'altra parte.

Qualcosa di spiacevole all'altezza dello stomaco le bloccò la respirazione. «Cosa vuoi?» domandò brusca.

«Come stai?» la voce di suo zio sembrava incerta.

«Cosa vuoi», ripetè. E questa volta non era una domanda. Non aveva nessuna intenzione di fare una chiacchierata con lui.

«D'accordo, come vuoi, saltiamo i convenevoli.» Mason si schiarì la gola e continuò. «Elena chiede se stasera vuoi lavorare. Siamo rimasti senza cantante. Lo sai com'è tua zia, esplode se non ha tutto sotto controllo. Mi ha praticamente costretto a chiamarti, sei la nostra ultima risorsa con un preavviso così breve.»

«Lo sapete benissimo che io lì non ci torno», rispose. Non sarebbe tornata in città, l'aveva giurato a sé stessa.

«Non te lo chiederei se non fosse una vera emergenza. Elena è in preda a una crisi di nervi, nelle ultime settimane sta passando un periodo terribile», spiegò Mason paziente. «Vedila solo come un'opportunità di lavoro. Tutto qui.»

Per un lunghissimo istante Emma non rispose. Adorava sua zia, erano sempre andate molto d'accordo e anche se la maggior parte delle volte era completamente fuori di testa per colpa del suo carattere irascibile, avevano una bella collezione di momenti insieme. Non era lei il problema, ovviamente. Era tutto il resto. Tornare Era troppo doloroso. C'era il rischio di incontrare persone che sperava non avrebbe più rivisto.

Era anche vero, però, che sua zia pagava sempre molto bene e che lei era molto brava nel suo lavoro. Aveva già fatto serate in passato, con i matrimoni riusciva sempre a mettere da parte una bella sommetta per le spese extra. Avrebbe potuto ingoiare l'orgoglio e tornare solo per una sera. Aveva promesso, è vero, ma suo zio non l'avrebbe chiamata se non fosse stato davvero in difficoltà. Sarebbe tornata col primo treno del mattino.

«Mi tratterete come una sconosciuta», disse infine. «Vengo, canto, mi pagate e me ne vado. Fine della storia.»

«Mi presenterò come se non ti avessi mai vista prima», le assicurò lui.

«Allora ci vediamo più tardi.»

LA NOTTE DEI BUONI PROPOSITIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora