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Era appena finito il pranzo in casa Wood e Jane stava preparando il caffè.

«Hai tempo di passare al ristorante, dopo?» domandò Elena alla sorella. «Ho bisogno di aiuto con gli ultimi addobbi.»

«Non ricicli quelli di Natale?»

«Quelli li ho già tolti. Ho preso delle cose speciali.»

«E i tuoi dipendenti?»

«Ho chiesto ai ragazzi di venire nel tardo pomeriggio. Non li volevo tra i piedi, è inutile pagare qualcuno per attaccare dei palloncini», spiegò. Poi aggiunse piccata. «Non vuoi? Niente, me la caverò da sola.»

«Tranquilla. Verrò», rispose sollevando un sopracciglio. Poi guardò Will intenta a smanettare al cellulare.

«Come sta Mason?» cambiò discorso Ethan. «Intendo.. dall'incidente.»

«Mason è molto forte», rispose Elena. «Se sta male non lo dà a vedere. Lavora. Lavora. Lavora. Dice che in questo modo riesce a non pensarci.» Alzò le spalle. «Gli voleva un gran bene. Avrei preferito in un periodo di crisi, in cui magari sfogasse la rabbia, la delusione, la sofferenza. In questo modo accumula e basta. Prima o poi scoppierà.» Fece una pausa. «Quello che non riesco proprio a capire è come abbia fatto mia cognata a riprendersi così in fretta. Le cose tra loro non andavano benissimo, ma se la vedi neanche ti sembra una vedova. Anzi, probabilmente non lo riconosceresti neppure.»

«Credo di averla vista una volta sola e un sacco di tempo fa», precisò Ethan.

«Ognuno reagisce al dolore a modo suo», intervenne Reagan.

Will sollevò la testa dallo schermo improvvisamente incuriosita dalla piega che stava prendendo la conversazione.

«La ragazza non è più tornata?» continuò Ethan con le domande.

«Se riesce a salire su quel maledettissimo treno ed essere qui stasera, sarà la prima volta che torna in città dal funerale. Mason ha detto che vuole essere trattata come un'estranea», spiegò. «Credo che non abbia mai superato il senso di colpa.»

Calò un silenzio imbarazzante interrotto solo dal rumore delle tazze di caffè.

«E voi quando vi sposate?» cambiò di nuovo argomento Ethan.

Jane si irrigidì sulla poltrona guardando Elena di sbieco. Perfino suo padre aveva aperto un occhio dal suo riposino pomeridiano.

«Lo sai che non ci interessano queste cose», rispose fingendo indifferenza.

«Ultimamente non sembrava», la punzecchiò sua sorella.

«Sì, ma guarda i matrimoni come vanno a finire poi: uno si trova l'amante e manda tutto a rotoli.»

Reagan strinse gli occhi punta sul vivo. «Uno l'amante se la può fare anche se non è sposato», ribattè acida. «Nessuno è perfetto.»

«Daniel ne è l'esempio lampante.»

Reagan guardò in direzione di sua figlia. «Non credo sia un buon momento», disse cercando di riacquistare la calma.

«Per l'amore del cielo! Tua figlia ha sedici anni, pensi ancora che sia troppo piccola per sapere come sono andate davvero le cose?» Elena rise e si alzò in piedi pronta ad andare via.

«Ci vediamo più tardi», la liquidò Reagan. «E aggiungi due posti a tavola stasera, vengono anche Daniel e Vivian.»

Elena spalancò gli occhi senza parole. Sua madre si portò una mano al petto e suo padre scoppiò a ridere.

LA NOTTE DEI BUONI PROPOSITIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora