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«Puoi spiegarci per favore che cos'è successo?» domandò Jane Wood alla secondogenita ancora in lacrime mentre le porgeva una tazza di tè.

«Non lo so. Sono sbottata. Non ce la faccio più. Prima Mason è venuto al ristorante e io l'ho aggredito. Sono stanca, sono stufa. Mi sento sola», elencò Elena tra un singhiozzo e l'altro.

Jacob Wood si sedette al suo solito posto in poltrona e assistette alla scena tra madre e figlia.

«Comincia da principio, cara. Già oggi a pranzo mi sembravi un po' tesa», provò a farla ragionare Jane.

«Mamma, lo sai quanto mi sbatta per quel ristorante e lo sai che ultimamente è diventato più un peso che altro. Una volta era la mia vita, la mia soddisfazione. Ho fatto dio solo sa quanti sacrifici per aprirmi quell'attività. Ma da un po' di tempo, apro gli occhi al mattino e mi viene il vomito al pensiero che devo andare là dentro.»

«E ne hai parlato con Mason?»

«No! Come potrei farlo? Per lui i problemi non esistono, lo conosci. Lui e la sua stupida teoria del vivere oggi senza pensare a ieri e domani. Per lui è routine, il nostro lavoro, quello che ci dà da mangiare. Se cominciassi a lamentarmene non capirebbe. Si è sacrificato lui quanto me, era il nostro sogno.»

Elena guardò entrambi i suoi genitori. Come poteva dirgli realmente come stavano le cose? Erano complicate, almeno dal suo punto di vista, e poi non sopportava l'idea di parlarne prima con i suoi e dopo con Mason. I genitori non sono obbligati a sapere proprio tutto.

«Non mi sento felice. È un periodo in cui vedo tutto nero, non sono soddisfatta di niente. Ogni cosa mi sembra come un problema enorme. Peso ogni gesto, ogni parola e mi sembra sempre che siano contro di me. Credo che impazzirò.» Si portò le mani alla fronte.

Jane posò la tazza di tè sul tavolino, si sedette vicino a sua figlia e le cinse le spalle con un braccio.

«Secondo me lo stare sempre così tanto insieme vi fa male», sentenziò.

«Che vuoi dire?»

«Lavorare insieme al proprio compagno è uno sforzo non indifferente. Vedersi sempre, accumulare problemi e preoccupazioni. Nelle coppie normali il lavoro si può lasciare fuori dalla porta e dimenticare fino al giorno dopo, ma voi? Il "com'è andata oggi" non esiste per voi.»

«Siamo soci. Che dovrei fare? Licenziarlo?»

«Hai mai considerato l'idea di trovare un altro impiego?» si intromise suo padre.

«Un altro impiego? È da quando sono una ragazzina che faccio la ristoratrice. Non so fare nient'altro, papà», rispose Elena amaramente.

«Se non ricordo male hai una laurea in lettere, figliola e Mason è architetto.» Jacob guardò negli occhi sua figlia e sorrise. «C'è sempre un'alternativa», le disse.

Elena scoppiò a piangere più forte. La faceva facile lui. Sì era vero, entrambi avevano completato gli studi e anche brillantemente ma avevano preso le loro lauree e le avevano lasciate in fondo a un cassetto per rincorrere un progetto molto più ambizioso. Cosa avrebbe dovuto farsene adesso, dopo più di dieci anni, della sua laurea in lettere? E Mason non aveva mai preso l'abilitazione per aprire uno studio suo. Era tutto molto complicato. Come sempre.

«Quando io e tuo padre ci siamo conosciuti lui era appena diventato poliziotto. Un simpatico poliziotto di quartiere che bazzicava fuori dal liceo per controllare se ci fossero strani giri tra gli studenti», cominciò a raccontare sua madre. «Si era fidanzato con una mia amica e ci vedevamo spesso. Io avevo trovato lavoro in gelateria e dopo la scuola trascorrevamo i pomeriggi così, io servivo ai tavoli e loro aspettavano che finissi il turno. Sempre insieme. Non era proprio il mio tipo.» Jane guardò suo marito con amore. «Poi anche io mi sono trovata un ragazzo. Non avevo nessuna intenzione di andare al college, per me andava benissimo il mio lavoro. Lui era un cliente, veniva sempre più spesso e questa cosa ha fatto capire a tuo padre che in realtà era innamorato di me.»

«La conosco già questa storia», borbottò Elena.

«Ci siamo sposati dopo neanche cinque mesi. Ci conoscevamo da così tanto ormai, che era naturale.»

«E quindi? Io e Mason non ci sposeremo mai perché lui non vuole.» Elena sentì l'ennesima ondata di lacrime montarle gli occhi.

«E tu che ne sai?» domandò Jane. «Finchè darai per scontato quel ragazzo e come la pensa trascorrerai i tuoi pomeriggi a piangere sommersa dalla frustrazione. Vuoi sposare l'uomo della tua vita? Chiediglielo!»

«E se dicesse di no? Non potrei sopravvivere.»

«Se dicesse di no, continuerete ad amarvi come prima. Non puoi fargliene una colpa e non puoi rovinare la vostra storia per questo. State insieme da moltissimi anni, quindi non è una firma che consoliderà il vostro amore. Prendi il coraggio delle tue scelte, Elena e comincia a diventare padrona della tua vita, altrimenti le paure ti sommergeranno.»

«Devo sembrarvi proprio una stupida», si asciugò le lacrime.

«A me sembri bellissima.» Jane le diede un bacio sulla guancia. «Adesso torna al ristorante che hai una cena da dirigere», le disse. «Va da Mason, scusati con lui e digli che alla fine della serata avete alcune cose di cui parlare. In questo modo lo terrai sulle spine per un po'», Jane le face l'occhiolino.

Elena, adesso più tranquilla, si alzò pronta per andarsene. Abbracciò prima sua madre, poi diede un bacio in testa a suo padre. Infine il campanello suonò di nuovo.

«Oggi questa casa è un porto di mare», disse Jane andando ad aprire.

«Mamma.» Era Reagan, con la faccia sconvolta e gli occhi rossi di pianto. «Will è scappata. Non ho idea di dove cercarla», disse sventolando il fogliettino scritto a mano lasciato dalla figlia. 

LA NOTTE DEI BUONI PROPOSITIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora