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Quando Sophia entrò nella stanza d'ospedale, il signor Jones era disteso sul lettino, gli occhi chiusi, immobile. Se non fosse stato per il lento respiro che faceva alzare e abbassare il suo petto, sarebbe sembrato morto.

L'infermiera restò a guardarlo qualche istante dalla soglia della porta. I capelli bianchi scomposti, la pelle di un brutto color ceruleo, le mani ossute. Tutto l'aspetto in generale appariva fragile e malato, esattamente come la situazione reale.

«Signor Jones?» lo chiamo gentilmente poggiandogli una mano sul braccio.

Con apparente fatica l'uomo aprì gli occhi e mise a fuoco Sophia.

«Come si sente oggi?».

L'anziano signore cercò di articolare una frase, ma aveva la bocca secca e impastata. Non ci riuscì. Sophia gli avvicinò delicatamente il bicchiere d'acqua alla bocca e lo sorresse mentre si dissetava. Sembrò impiegarci un tempo infinito.

«Che giorno è?» gracchiò infine.

«Il trentuno dicembre», rispose lei.

Il signor Jones strabuzzò gli occhi meravigliato. «Come diavolo è possibile?» sbottò ora più lucido. «Mi prende in giro, signorina?» Cercò goffamente di tirarsi a sedere, ma non ci riuscì. Sophia provò a sorreggerlo, ma lui la scostò bruscamente. «L'ho sempre detto, io, che delle donne non ci si può fidare», borbottò. «Se è il trentuno dicembre significa che il mio compleanno è già passato e che sono chiuso qui dentro da troppo tempo», spiegò brontolando. «Avete chiamato mio figlio?», chiese poi con gli occhi che diventavano lucidi davanti alla verità. Abbassò lo sguardo, poi lo riportò su Sophia, adesso più accomodante. «Glielo avete detto che sono qui? Lo sa mio figlio che mi tenete in ostaggio?»

Sophia si prese qualche secondo per rispondere. «No, signor Jones. L'ospedale non è riuscito a mettersi in contatto con lui. Il numero segnato tra quelli che ha indicato per le emergenze non risulta più essere attivo.»

«Ho dei numeri di emergenza?» domandò l'uomo aggrappandosi a quel particolare.

«Sì. Ce lo ha fornito la sua vicina di casa. È stata lei che ci ha chiamato e ha dato l'allarme.»

«Quell'impicciona!» borbottò di nuovo il signor Jones.

«Le ha salvato la vita.» Sophia teneva un tono di voce calmo e accomodante. Sembrava una ninna nanna.

«Sentite, è stato solo un dannato ictus», intervenne lui. «Come può vedere mi sento benissimo e voglio tornare a casa mia. Lo dico a ogni infermiera che capita in questa stanza, ma fate tutte finta di non starmi a sentire. Mi sono stufato.» Improvvisamente il suo paziente cambiò espressione e divenne furioso. «Non gliene importa un accidente», mormorò. «Ho sbagliato tutto», commentò infine mentre una lacrima traditrice gli scorreva lungo la guancia.

Sophia, svelta, gli afferrò una mano e strinse la presa. Il senso di smarrimento aveva contagiato anche lei, che si sentiva inerme davanti a quell'uomo. Faceva quel lavoro da moltissimi anni, eppure era la prima volta che si lasciava coinvolgere in maniera così intensa. E stava facendo del male a sé stessa.

«Sto morendo, vero?» domandò l'uomo a un tratto. «Non esiste nessun dannato ictus, quello l'ho inventato io e voi non avete le palle di smentirmi.»

«Signor Jones perché dice così?» rispose Sophia a disagio.

Lui non rispose e prese a piangere più forte.

LA NOTTE DEI BUONI PROPOSITIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora