ventidue.

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"Sometimes we want what
we want even if we know it's
going to kill us."
- Donna Tartt

Jungkook POV

Quella sensazione era come un'invasione nella mia mente che aveva completamente preso il sopravvento e soffocato ogni altra cosa. Poggiavo la schiena contro la sedia mentre quel suono piacevole attaccava le mie orecchie e le inondava senza alcuno sforzo. Il ritmo regolare di quella musica hip-hop mi rilassava e mi estraniava dal resto del mondo, allontanando i cattivi pensieri per tutto il tempo in cui l'ascoltai.

Fin quando un mucchio di fogli arrotolati non mi colpì in piena fronte.

«Yoongi.» Sospirai. «Smettila.»

Mi tolsi uno degli auricolari e abbassai il volume nel mio cellulare, non rendendomi nemmeno conto della collezione di fogli scartati e arrotolati che si erano accumulati ai miei piedi.

«Smettila di ignorarmi e rivolgiti a me nella maniera corretta, moccioso.» L'altro ragazzo mi rispose, prima di girare sulla sua sedia per ritornare con gli occhi sulla scrivania.

Tirai fuori il labbro inferiore in un piccolo broncio a quel nomignolo, che non fece altro che ricordarmi di lui. «Perché mi chiamate tutti moccioso?»

«Forse perché lo sei?» Yoongi suggerì, guadagnandosi uno sguardo omicida sulla nuca. «Comunque, chi altro ti chiama moccioso?»

«Taehyung.» Mormorai.

Ci fu un rumore proveniente dalla parte della stanza in cui si trovava, sembrava come un colpo di tosse che si trasformò in un mormorio. «Giusto.» Fu tutto ciò che disse.

Yoongi era un professionista in molte cose, secondo quanto avevo sentito e visto con i miei occhi, e si evinceva anche dallo studio così sofisticato in cui ci trovavano attualmente, situato nel piano superiore del suo club. Era sempre stato un professionista, fatta eccezione per quel momento, in cui sembrava avere difficoltà nel trasmettere ciò che voleva. «Com'è secondo te?» Il ragazzo dai capelli argentati mi chiese, avvicinandosi alla sua tastiera e premendo alcuni tasti.

La stanza si riempì di piacevoli note che, se ci fossimo trovati in un universo che avesse potuto renderle visibili, avrebbero cominciato a danzare elegantemente. A fluttuare come delle fate.

«È molto più delicato di quello che produci di solito.» Dissi, il che non fu una verità troppo sorprendente, ché Yoongi stesso era una grande contraddizione. Quell'apparenza esteriore così fredda e quella presenza così intimidatoria erano solo delle ipotesi che formulava la gente non abbastanza fortunata da conoscerlo davvero.

Adesso stava annuendo, le dita continuavano a giocare con i tasti e io chiusi gli occhi, rilassandomi grazie a quelle note, che vennero interrotte da un colpo frustrato alla tastiera e un grugnito di disapprovazione. «Jungkook, io ti voglio bene, ma per quale motivo sei ancora qui?»

Mi mordicchiai il labbro inferiore con i denti e scrollai le spalle. «Sono tutti impegnati e non volevo di già andare a casa e stare da solo.»

Yoongi adesso mi stava guardando dalla sua sedia, le dita incrociate tra di loro riposavano sul suo stomaco. «Sei davvero un bambino.» Ridacchiò, il sorriso sul suo viso e le gengive in mostra giusto un po' lo rendevano troppo carino e non riuscii nemmeno ad infastidirmi per quel sottile insulto.

«Hai parlato con Jimin?»

«Ogni giorno.» Rispose Yoongi, spingendosi con la sedia per ritornare alla sua scrivania e trafficare con altri pulsanti e tasti di vari colori e funzioni. «Perché?»

«È stato impegnato.» Risposi più velocemente di quanto pensavo avrei fatto, realizzando solo allora che non avevo parlato molto con Jimin in quei giorni, tanto meno mi ero assicurato se stesse meglio o no.

WALLFLOWER  [TRADUZIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora