quarantatré.

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"I always knew the death
of this relation would be the
death of my life."
- M. Ali

Jungkook POV

Sentivo la testa pesante e lo stomaco pieno. Hobi mi aveva portato al bar quella mattina e mi aveva comprato tutti i tè al lampone che desideravo, quello tra le mie mani era già mezzo vuoto.

Gli avevo mostrato dei libri che mi piacevano ed aveva annuito con la testa a tutto ciò che gli avevo raccontato. Lui mi aveva parlato dello studio e del fatto che Jimin avesse detto agli istruttori che fossi malato ma che sarei ritornato presto. Per fortuna non avrei perso il mio lavoro.

Era già buio fuori quando Hobi mi lasciò sotto il mio appartamento. «Sei sicuro che non vuoi che rimanga fin quando non ritorna Yoongi?» Mi chiese davanti la porta.

Scossi velocemente il capo e presi un sorso dal tè tra le mie mani. «No, gli manderò un messaggio e farò una doccia mentre lo aspetto.»

Sorrise e annuì, prima di salutarmi e tornare in macchina.

Il cuore pompava e le mani tremavano. Quella era la sera giusta, l'unica occasione che avevo per sfogarmi senza Yoongi che mi stava con il fiato sul collo a monitorare ogni mio movimento.

Corsi verso il mio armadio e cercai i pantaloni della tuta sistemati nel fondo. La piccola sporgenza nella tasca mi fece già sentire meglio e tirai fuori la misera quantità di contenuto che mi era rimasta.

Fissai le piccole bustine di plastica e l'esitazione si impossessò della mia mente. Una parte di me mi suggeriva di posarle, magari ne avrei avuto bisogno in un altro momento. Ma fu l'altra parte a vincere su di me.

Lo zaino sulle spalle, pesante a causa del mio debito e della droga, sembrava rendere più difficile ogni passo mentre mi facevo strada lungo il marciapiede, diretto di nuovo verso i binari. Doveva essere un affare veloce, avevo i soldi che servivano e stavo camminando velocemente lungo il vicolo.

Avevo a malapena corso, ma mi ero ritrovato subito senza fiato e con il sudore a gocciolarmi lungo la schiena. Era stata una pessima idea, ogni cosa sembrava urlarmi di voltarmi, ritornare a casa e fare finta di essermi addormentato, così Yoongi non mi avrebbe rimproverato la mattina successiva.

Subito vidi il fumo fuoriuscire dalla porta e la familiare immagine di bottiglie vuote e ragazze - più svestite che altro - sui divani. Non volevo vederlo né sentire la sua voce, ma era come se lui lo sapesse. Sollevai lo sguardo e i suoi occhi mi stavano già guardando con quel solito ghigno. «Jungkook.» Jae biascicò.

Chiunque fosse incollato al suo braccio se ne andò non appena Jae lo spinse via per avvicinarsi a me. Aumentai la presa sullo zaino e rimasi pietrificato. La mia mente mi urlava di muovermi o fare qualsiasi cosa che non fosse soltanto rimanere fermo come una statua.

Jae fu subito di fronte a me, le sue dita mi sfiorarono il petto e scivolarono intorno alle spalline dello zaino. Allontanai la spalla con uno strattone e sostenni il suo sguardo.

Lo vidi contrarre la mandibola e in quel momento non desiderai altro se non che il pavimento si aprisse e mi facesse sparire. Ma un singolo segno di debolezza avrebbe firmato la mia condanna a morte. Senza il bisogno di ricevere alcun indizio, Jae avrebbe potuto capire quanto fossi poco in forma, la pelle pallida e le occhiaie scure erano abbastanza evidenti. «Sono qui solo per fare la consegna.» Dissi, superandolo.

Sentii il sangue martellarmi nelle orecchie non appena aprii la porta per entrare nell'ufficio sul retro e poggiare sul tavolo la busta con il denaro. Avrebbe dovuto essere una cosa veloce, avrei dovuto lasciare i soldi e non tornare mai più in quel luogo. Ma Jae aveva altri piani.

«Ehi, che succede?» Le sue mani mi toccarono i fianchi da dietro e non riuscii a fare a meno di sussultare. Non avevo intenzione di ripetere quel mio errore.

«Non toccarmi, Jae.» Me lo levai di dosso e indossai lo zaino. «Me ne tiro fuori.»

Serrò nuovamente la mascella, ma io ignorai il suo petto ansante e lo sorpassai, facendomi strada verso il vicolo. Mi sentivo ancora come se non fossi in grado di respirare correttamente a causa di tutto quel fumo che mi aveva offuscato la testa e l'adrenalina che mi scorreva nelle vene.

«Dove vai così di fretta?» Parlò una voce sconosciuta e una risatina, altrettanto sconosciuta, riecheggiò nella notte. Era buio, ma erano vestiti di nero e l'odore di alcol proveniva dalle loro figure.

Sapevo che fosse meglio tenere la bocca chiusa e così feci. Mi sistemai le spalline dello zaino e li sorpassai, lasciando sfregare le nostre braccia.

Fu la mano che si poggiò sulla mia spalla a farmi scattare qualcosa nella mente e strinsi le mani in due pugni. Se non fossi stato così debole per aver mangiato e dormito poco, probabilmente sarei stato in grado di dare un pugno a quel tipo ed evitare che venissi spinto contro il muro con così tanta forza da farmi stringere i denti. Feci una smorfia per il dolore e guardai i due uomini e i loro ghigni. «Toglietemi le mani di dosso.» Sputai.

«Che cazzo hai detto?» L'altro controbatté, soffiandomi il suo cattivo alito in viso.

Avrei fatto meglio a zittirmi in tempo, perché la risposta al commento furbo che uscì dalla mia bocca successivamente fu un rapido pugno sullo zigomo. Il dolore si diffuse intorno all'occhio e un mal di testa mi esplose nelle tempie. Feci un tentativo di contrattacco, ma i miei deboli colpi mi fecero guadagnare solo una mano intorno al collo dopo essere stato spinto contro il muro.

Jae uscì dalla porta ed entrò nel vicolo, le braccia incrociate sul petto mentre guardava verso di me. Rimase lì per un po', prima di ritornare dentro e lasciarmi a sentire il sangue colare lungo le labbra.

Passarono dei minuti o forse addirittura ore quando riuscii a realizzare di essere solo. La mia guancia era premuta contro il cemento freddo e non riuscivo a capire se negli occhi e sulle guance avessi lacrime o sangue.

Quando mi alzai da terra sentii dolore ovunque, poggiai una mano sul muro per sostenermi e l'altra l'avvolsi intorno al mio stomaco.

Mi trascinai lungo il vicolo e riuscii a farmi strada verso il marciapiede e verso la città. Sapevo dove volevo andare e sapevo che lo avrei deluso.

Ma continuai a camminare e salii le scale in qualche modo. Tirare fuori il cellulare dalla tasca fece più male di quanto mi aspettassi, le nocche sbucciate mi costrinsero a fare una smorfia di dolore quando sfregarono contro il tessuto dei jeans.

«Taehyung?» Gracchiai non appena, con gran sorpresa, rispose alla mia chiamata. Ero già di fronte la sua porta, dunque non ero sicuro di cosa avrei fatto nel caso in cui non avesse risposto.

Ci fu una pausa e trattenni il fiato per tutto il tempo, fin quando non rispose. «Jungkook, che succede? Dove sei?»

Chiusi gli occhi e mi poggiai contro il muro, un piccolo sorriso mi apparve sul volto. Era così bello sentire di nuovo la sua voce profonda. Tentai di parlare ma solo un colpo di tosse secco abbandonò la mia bocca, il che ebbe come risultato un'altra smorfia di dolore. «Apri la porta, per favore.»

Sentire nuovamente la sua voce era bello, ma niente fu più piacevole di vedere il suo viso non appena aprì quella porta.

WALLFLOWER  [TRADUZIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora