trentanove.

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"Cries for help are
frequently inaudible."
- Tom Robbins

Jungkook POV

Da bambino i miei genitori mi dicevano che la pioggia era il modo in cui gli dei piangevano a causa della tristezza nel mondo. Piangevano e si arrabbiavano con gli umani per aver provocato danni e disperazione, nonostante i privilegi a nostra disposizione per vivere su una terra piena di salute ed opportunità realistiche.

Quel giorno era soleggiato. Gli dei non volevano piangere per me e per la mia tristezza, e nemmeno io volevo piangere per me stesso. Me lo ero meritato. Il dolore al petto e il martellare nella testa erano un promemoria di quanto mi fossi ridotto uno schifo.

Seduto sul pavimento, avvertivo il freddo delle mattonelle della cucina attraverso il tessuto della tuta e poggiai la testa contro gli armadietti. Strinsi le ginocchia contro il petto e poggiai le braccia su di esse, osservando una scia di sangue scivolare dalla mano al polso.

Non ero stato in grado di smettere di piangere, almeno non fin quando non mi era venuto un mal di testa così forte da non riuscire più a vedere bene e la gola mi si era totalmente seccata a causa dei singhiozzi. Era successo circa un paio d'ore fa.

Avevo provato a fare le pulizie per tenere la mente impegnata, per evitare che si riproducesse la scena di Taehyung che usciva dalla porta. Avevo chiuso gli occhi per un istante, il suo viso era apparso nella mia mente e mi ero accidentalmente tagliato la mano con un coltello in cucina.

Il mio primo istinto non fu quello di fermare il sangue, perché il dolore proveniente da qualsiasi altra parte che non fosse il mio cuore era ben accetto.

Ecco com'ero finito seduto sul pavimento della cucina a guardare il sangue scorrere lungo la mano e asciugarsi lentamente. Ero così rapito da qualcosa che non fosse la mia tristezza che inizialmente non mi accorsi della porta del mio appartamento che si apriva.

Non disse niente quando mi vide e io, dal canto mio, non cercai di nascondere nulla.

Yoongi semplicemente si chiuse la porta alle spalle in silenzio e mi si avvicinò. Sentii la sua mano scivolare sotto il mio braccio e strattonarmi verso l'alto. «Su, Jungkook. Collabora.»

Scossi semplicemente il capo ma mi tirai in piedi. «Non dovresti essere qui, hyung.» Sussurrai, sentivo gli occhi così pesanti.

Yoongi poggiò entrambe le mani sul mio collo e mi obbligò a guardarlo. «Ascolta, ragazzino.» La sua voce s'incrinò un po', non riuscivo a capire se i suoi occhi fossero pieni di tristezza o delusione. «Siamo tutti un po' incasinati dentro.»

Fu tutto ciò che mi disse e tutto ciò che era necessario dire. Perché quella singola affermazione non solo conteneva pura sincerità, ma anche una promessa di aiuto. Yoongi mi voleva bene e lo sapevo, sapevo che mi avrebbe aiutato senza doverglielo chiedere in maniera diretta, perché d'altronde non lo avrei mai fatto. Non me lo meritavo.

Rimase con me per un po', pulendomi per prima cosa la mano e avvolgendola in una fasciatura, così da evitare che si infezionasse o che facesse male in generale. Non riuscivo a capire se volessi che rimanesse con me, così non sarei rimasto da solo, o se volessi che se ne andasse, così non avrei dovuto avvertire i suoi occhi su di me per tutto il tempo. Era esattamente come Jimin, che mi guardava di continuo come se avessi potuto fare qualcosa di stupido da un momento all'altro.

«Vado velocemente a prendere una cosa nella mia macchina.» Yoongi disse, alzandosi dal divano. «Torno subito.»

Annuii e continuai a tenere gli occhi sullo schermo. La tv era accesa ma non stavo davvero prestando attenzione a quello che stavamo guardando.

Quando Yoongi ritornò nel mio appartamento, mi ritrovò nella stessa posizione di prima. Stava parlando a bassa voce al cellulare e aveva le braccia piene di buste. «Va bene, lo farò, ciao.» Mormorò prima di riagganciare e posare il cellulare sul bancone della cucina.

«Cosa sono tutte quelle cose?» Domandai. La mia voce aveva un suono buffo, il pianto e la mancanza di sonno la facevano suonare stridula e rauca.

Yoongi sistemò le cose sul pavimento e afferrò qualcosa prima di avvicinarsi a me. «Questi sono per te, chiama tua madre.» Disse, porgendomi un pacchetto di fazzoletti e il mio cellulare. «Vai sul balcone e parla con lei, dopo facciamo le pulizie.» Disse.

Era difficile contraddire Yoongi. E con ciò intendevo che non conveniva mai controbattere con lui. Ciò che diceva e faceva aveva sempre uno scopo e c'era sempre un motivo dietro, era affidabile.

Quindi afferrai i fazzoletti e il cellulare, tenendo la coperta sulle spalle mentre mi avvicinavo alla porta scorrevole in vetro e la aprivo. L'aria fredda mi colpì il viso e rafforzai la presa sulla coperta. Tenevo una sedia e un tavolino sul balcone, spesso leggevo lì.

Mi sedetti e sbloccai il cellulare per chiamare mia madre, il mio pollice esitò sul suo nome per un istante. Una parte di me non voleva farlo. Ma c'era una parte, una più grossa, che ne aveva bisogno.

Mi asciugai le guance e il naso con uno dei fazzoletti e sollevai il cellulare vicino l'orecchio. Mentre squillava, attraverso la porta di vetro vidi Yoongi gironzolare indaffarato. Prendeva delle cose dal frigorifero e le sostituiva con altre, tirando fuori anche delle grosse buste della spazzatura per chissà quale motivo. Aveva poggiato alcune cose sul bancone e lo vedevo controllare di continuo il cellulare.

Forse fu a causa dell'aria fredda, i brividi che apparvero sulle mie braccia nude non coperte. Ma non era vero. Era stata la sua voce, quel suono così dolce e delicato, non mi ero nemmeno accorto mi fosse mancato così tanto.

«Jungkook?» Parlò tramite il telefono. Sentii l'immediato bisogno di piangere nuovamente. «Tesoro, ci sei?» Disse quando non fui capace di parlare a mia volta.

«Mamma.» Non mi si incrinò la voce, ma venne fuori come un sussurro.

Riuscivo letteralmente sentire il sorriso nella sua voce mentre esclamava. «Oh, è così bello sentirti! Come te la stai passando?»

Ecco la domanda. La domanda a cui avrebbe dovuto essere facile rispondere, ma non era più così ormai. «Non molto bene, mamma.» Riuscii a dire, avvertendo una singola lacrima scivolare lungo la guancia e la asciugai velocemente. Niente più lacrime.

«Dimmi cosa succede, tesoro.» Disse mia madre. Mi sentii come se fossi ritornato bambino, avevo quel desiderio di confidarmi con mia madre come se avessi bisogno di un cerotto dopo aver rotto la bici ed essermi sbucciato un ginocchio.

Ma quella volta non era semplice come un ginocchio sbucciato ed avevo bisogno di qualcosa di più efficace di un cerotto per poter guarire.

«Mi dispiace, mamma.»

WALLFLOWER  [TRADUZIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora