Vespe truccate (II)

107 21 162
                                    


Cinque minuti dopo il Fifty antracite sfreccia sulla strada per la Val d'Ora. A guidare è Marco che, mentre dà gas, strilla che ce l'abbiamo fatta, ma io non lo ascolto veramente.

Per metà tragitto, non faccio che pensare a Ivan e a stupirmi della sua presenza nel garage di Giacomo. È come se una nota stonasse nel file audio di quella conversazione, come se ci fosse un indizio che intravedo, ma non riesco a focalizzare.

Nelle orecchie rimbomba il modo in cui ha pronunciato il mio nome, sulla pelle il tocco freddo delle dita, una stretta sicura che sembrava volermi trasformare in un cumulo di cenere.

Ancora frastornata dalla sua comparsa, appoggio la guancia alla schiena di Marco.

«Manca ancora tanto?» chiedo per spegnere pensieri indesiderati.

Invece che degnarmi di una risposta, Marco strombazza il clacson e inizia a cantare:

«Ma che disastro io mi maledico! Ho scelto te una donna per amico!»

Assurdo... il fan dei Pink Floyd che canta Battisti! E poi, quella frase non suona come un complimento!

«Ma che disastro io mi maledico! Ho scelto te uno scemo per amico!»

Lo strillo nel suo orecchio, un acuto mescolato al rumore dei copertoni sull'asfalto, uno stridio stonato che sorprende Marco e gli fa quasi perdere il controllo del Fifty.

«Nanà, ma ti pare! Vuoi mettere la fortuna di avermi come amico! Guarda che capita una volta sola nella vita!»

«Una vita che abbiamo appena rischiato di perdere. Impara a guidare, cretino!»

Il motore del Fifty romba per i tornanti della Val d'Ora, sembra quasi rimproverarci per tutte le violazioni stradali di cui ci stiamo macchiando. Ma parlare con Marco ha tranquillizzato i pensieri e così resto ad assaporare il silenzio, mi riadagio contro il suo cardigan di lana. È morbido e profuma di Marsiglia, un odore di sapone che, appena entreremo da Ayman, verrà cancellato da nubi di fumo e tanfo di birra.

«Come volevasi dimostrare» sussurro tra me e me, quando Marco spegne il Fifty e muove le All Star verso l'ingresso, una coltre di smog a darci il benvenuto.

Sfrutto la mano come un tergicristallo per dipanare la foschia ed eccola la meta, lo scantinato di una vecchia villa di campagna, con finestre senza vetri e pareti in mattoni.

All'interno, io e Marco restiamo subito affascinati dallo stormo di studenti addensati nella singola stanza.

Dopo un primo sguardo, riconosco Ombretta nel suo mini vestito di paillette, abbracciata a un tizio della quinta A.

«Nanà, ma ti rendi conto?» Marco ha gli occhi che luccicano, lanciano scintile entusiaste. «Questa è la nostra prima vera festa! Altro che i compleanni con i genitori, la torta di cioccolato, le candeline e il cappellino sulla testa!»

Più che una festa a me sembra una boccia di cristallo senz'acqua, noi due pesciolini pronti a essere gettati nello sciacquone.

Ce ne stiamo sull'uscio e osserviamo la stanza in cerca di un volto noto che non sia quello della Fedetti. Invidio Biagio che balla in mezzo alla stanza con una birra in mano e canta a squarciagola You shook me all night long degli AC/DC, anche se la canzone di sottofondo non è quella.

«Guardalo lì, il cane» ride Marco. «Credi che ci sentirà, se lo chiamo?»

Peccato che la mia attenzione non sia più su Biagio e sulle sue movenze da finto rockettaro, perché un altro profilo, statico ed elegante, ha appena riempito il campo visivo.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora