Stanza 24 (I)

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Il 15 maggio arriva la telefonata più bella e terrificante della mia vita: Biagio si è svegliato. Tre giorni fa i medici di Verona hanno interrotto il coma farmacologico, dopo più di un mese passato a monitorare i movimenti cerebrali. È l'ora della verità. Davanti a me, c'è una busta immaginaria, sigillata da strati di saliva. In mano ho un tagliacarte, pronto all'utilizzo, ma le dita che lo stringono tremano e non sono certe di voler squarciare la carta per rivelare lo scottante responso: il destino di Biagio.

"Sono andata a messa ogni domenica" mi ripeto. "Ho detto le preghiere tutte le notti. E faccio sempre l'elemosina ai musicisti ambulanti, da quando è successo. Quindi, Dio, ora la palla è tua. Vedi di non deludermi."

Anna, al telefono, sembra pronunciare lacrime, invece di parole. Mi dice che è sveglio da tre giorni, ma non se l'è sentita di dirmelo prima. L'avrebbero riportato a Viacampo a breve, tenendolo sotto osservazione, in una struttura ospedaliera vicina al casinò.

"Se ti va, il 22 potresti venire a trovarlo" aggiunge, poi si scusa perché deve andare e riattacca.

Il bip della linea caduta mi rende impossibile porre altre domande: Biagio sa che cosa gli è successo? Anna gli ha parlato personalmente? Qual è stata la prima cosa che ha detto? Ha pianto, o anche in questa difficoltà ha dimostrato di essere un testone?

Gli interrogativi non mi danno tregua. Sono tanti aghi che si iniettano sottopelle, condannandomi a un perenne dolore, un liquido paralizzante che si scioglie nelle vene e mi rende incapace di muovermi. Mi serve un'ora abbondante per racimolare le forze e contattare Marco.

Massimo ti avrà detto, Biagio si è svegliato. Ho sentito Anna. Possiamo vederci?

È strano scrivere quel messaggio: Marco, il mio Marco, non compare negli ultimi dieci numeri utilizzati. Anche il cellulare mi sbatte in faccia il nostro allontanamento, ma poi mi fa capire che per il binomio c'è ancora speranza: un sms di risposta.

Speravo me lo chiedessi. Se sei a casa, passo subito. Parliamo.

Digito un sì istintivo e solo quando la busta del messaggio approda negli inviati, un tarlo mi buca lo stomaco, la realizzazione che non so come affrontarli, Biagio, Marco.

Forse basterebbe un ciao per scardinare quel portone di distanza che ci divide. Ma quando Marco arriva in salotto, ha le occhiaie pesanti, l'alito che puzza di alcol. Sono le quattro di pomeriggio e ha bevuto, tequila, non la solita birra.

«Che stai facendo?» gli chiedo, quando caracolla fino al divano.

È composto come non lo è mai stato, quasi fosse un ospite indesiderato, timoroso di stropicciare il telo o di rovinarlo con l'unica borchia dei jeans.

«Qualche sera esco con Celeste» rivela. «Bevo.» Con Celeste? «Gioco con la play.»

Studia i disegni a triangoli sul tappeto, gli isosceli bordeaux e verdi sotto il tavolo di vetro. Anche se la sua vita è vuota, nessuna reale occupazione, all'infuori delle bevute con Celeste, non ha pensato di cercarmi.

«Nanà, io...»

«Ti prego, non farlo» lo supplico. Mi lancia uno sguardo interrogativo. «Quello che fai sempre. Fai un casino, mi allontani, mi chiedi scusa, ti perdono e torni, poi rifai un casino e il resto è storia, e lo so che li faccio anche io, i casini, ma non ti ho mai chiesto di andartene!»

Lo vedo sprofondare nell'imbottitura del divano, schiacciato dall'incudine delle mie parole. E io sospiro, in colpa, perché senza di lui credevo di precipitare invece sto sopravvivendo.

«Lo so che ho sbagliato tutto» ammette. Gli occhi si fanno acquosi, onde di lago sollevate dal vento. «Mi è bastato vederti aprire quella porta e uscirtene, senza pranzare o salutare, per capire che avevo fatto una cazzata, però...» Però non mi hai cercata. «Ma almeno da Biagio il 22 possiamo andarci insieme?»

L'orgoglio crea una cinta muraria per proteggermi dai suoi attacchi: gli occhi umidi, la voce rotta, ancora quelle occhiaie nere. Mi vieta di dare ascolto a una vocina. Digli di togliere quell'almeno, Nina. Digli che vuoi tutto come prima. Digli che con te potrà continuare a fare casini, ad allontanarti e a chiederti scusa, perché tu alla fine lo perdonerai sempre.

«Chiedo a mia mamma la macchina e andiamo lì per le quattro, va bene?»

Mi impongo di restare una statua di ghiaccio, non gli dico nemmeno che ho preso la patente, qualche giorno fa. Lui non indaga. È felice. Sembra che con la mia risposta gli abbia appena donato un pacchetto di felicità, incartato di speranza e con fiocchi arricciati che rappresentano il sollievo.

«Grandioso, Nanà, e qualsiasi cosa succederà...»

«Non farmi promesse» lo interrompo, una semplice frase che nasconde molte lame, perché fino a questo momento lui, le sue promesse, non le ha mai mantenute.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora