Un buon non compleanno (I)

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Seconda Classico – 2006 / 2007


Il discorso di Biagio mi ha tolto dagli occhi un filtro che mi consentiva di vedere solo ciò che mi piaceva e di allontanare dal cervello i germi della paura. Ora, invece, uno strano batterio mi aggroviglia le viscere, mi rigira lo stomaco tutte le volte in cui incrocio Marco. Non posso nemmeno buttarmi a capofitto nelle sciocchezze da adolescente, perché, per un'amara coincidenza del destino, i miei amici sembrano tutti troppo presi dalle proprie vite per restare con me.

Dopo il concerto dei Red Hot, Yuri si è ricordato di essere nell'anno della maturità e di dovere dare il massimo per conquistare un 100 e lode. Ai professori piace dire che ogni studente possiede un istinto di sopravvivenza, nascosto da un guscio di insicurezze, un bisogno di emergere che spinge a tirare fuori unghie e denti di fronte alle difficoltà. È il principio che ci insegna a nuotare, quando stiamo affogando. È il ruggito che lanciamo, quando ci sentiamo attaccati dagli animali della foresta. È la conoscenza che ci stupiamo di avere, quando dobbiamo fingerci persone colte.

Sarà il terrore dell'esame orale, sarà l'ambizione di eccellere, ma Yuri chiude la fiaschetta di rum nel comodino e si trasforma in un topo da biblioteca. Si concede una sola uscita a settimana, il sabato sera, per ricordare ai clienti dello Yeti che lui, il grande Yuri Conte, è vivo e che mai scenderà dal trono.

Lo spirito libero del gruppo, Biagio, colui che vorrebbe circuire ogni fanciulla di Viacampo, soffoca sotto il guinzaglio di Monica, poco intenzionata a farsi lasciare una seconda volta. La coppietta del secolo passa i cambi dell'ora a baciarsi sulle scale antincendio, senza preoccuparsi dei passanti che li accusano di atti osceni in luogo pubblico. Quando Biagio deve difendersi dai rimproveri della Lorenzi, dice che la colpa è di Monica, perché se sapesse tacere, non dovrebbe ingegnarsi per zittire le sue paroline piene di cuoricini e diminutivi.

Così, il Biagio-Biagiuccio di Monica viene sospeso tre giorni da scuola, con la minaccia di un sei in condotta e il rischio di una bocciatura. Depresso al solo pensiero di dover ripetere l'anno, si sente sollevato quando Stefano ci informa che prenderà ripetizioni di inglese, due pomeriggi in settimana, per riottenere la fiducia del nonno comunista, nonché – e questo è il vero obiettivo – il casale per le feste.

Ci stiamo allontanando. Vinti dai nostri impegni, percorriamo strade che vanno in direzioni diverse, nella speranza che un giorno, terminati i temi di latino e inglese, si incrocino di nuovo.

Quando penso a Marco, lo sento scivolare via, sgommare su Floyd, sfrecciare tra una lezione di chitarra e un allenamento di basket. Io sono ferma all'incrocio, al semaforo dove Nicola mi ha lasciata con la scatoletta del ciondolo. Mentre tutti corrono e passano i giorni a dividersi in mille attività, resto immobile, in attesa che Floyd si fermi a quel semaforo, anche un solo secondo, prima che il verde scatti e Marco torni al trambusto dei suoi doveri.

Massimo, convinto di avere portato il figlio sulla retta via, si ostina a nascondere strisce di preservativi sotto il materasso, si rallegra nel trovare l'involucro argenteo vuoto, nel cestino della cucina. Le poche volte in cui mi vede entrare dal cancelletto, mi strizza l'occhiolino.

Al tempo stesso, dice a Marco che i soldi non crescono sugli alberi e che i suoi gentili regali devono essere ricambiati, con riconoscenza e impegno scolastico. Lo inizia alla sublime arte della medicina. Nel tempo libero, tira fuori il vecchio manuale dell'università e infarcisce il figlio di nozioni di anatomia e fisica.

«Perché è già difficile passare il test d'ingresso» gli dice. «Gli esami poi non ti dico. Devi imparare a prenderti per tempo. Devi impegnarti sin da adesso.»

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