Mastice, pezza, gesso (III)

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Su una scala di mille, quante possibilità c'erano di trovare una foto di Ivan con un'altra ragazza? La matematica non è la mia materia forte, ma a sedici anni conosco abbastanza il caso da poter dire "una".

Il libro di Wittgenstein è sulla scrivania della mia camera, chiuso. Sulla copertina ho appoggiato la foto di Ivan e della misteriosa ragazza. La fisso alla ricerca di indizi che mi rivelino il loro rapporto: Ivan guarda nell'obbiettivo senza uno straccio di sorriso, un bellissimo gatto di marmo da collezione; lei ha gli occhi verde chiaro, il colore di spighe di grano non ancora mature, uno sguardo dolce, innamorato.

Chissà se Ivan la ricambia o la ritiene solamente un intervallo tra due momenti di felicità? Con me non ha avuto dubbi, realizzo con l'amaro in bocca. Se ne era andato dal casale di Stefano senza un saluto, per quanto una parte di me avesse capito che quei baci e quelle carezze avrebbero dettato la fine della nostra strana relazione.

Inumidisco le labbra per ricordare il tocco della sua bocca e la memoria percepisce solo un forte sapore di Montenegro. D'improvviso capisco che quelle farfalle nello stomaco non erano amore per Ivan, ma per l'amore stesso, per l'idea di essere unica, perché nonostante l'età lui aveva scelto me.

Una settimana dopo, durante una seduta di studio a casa mia, restituisco il libro a Nicola. Lui mi guarda senza prenderlo, aspettandosi un giudizio.

«In realtà ho solo sbirciato l'introduzione» ammetto. «Con tutti i compiti che ci sono non ho trovato il tempo.»

Nicola si ostina a non riprenderselo.

«Tienilo ancora, se non l'hai visto bene» insiste. Non sa che posso insistere più di lui: non voglio quel libro con quella foto nella mia stanza.

«Sono sicura che a tuo fratello serva» dico, ma Nicola scuote il capo e borbotta che l'esame è storia vecchia, sono passati sei mesi e lo ha superato con il massimo dei voti. «Lo rivorrà indietro almeno per la foto. Credo ci tenga.»

Mi aspetto che Nicola controbatta, oppure mi chieda di che cosa stia parlando. Invece, come se avessi appena trovato il tesoro nel gioco della caccia, prende il libro e lo mette tutto soddisfatto in cartella.

«La foto con Caterina» rivela. Pendo dalle sue labbra in cerca di qualche indizio. «Deve averla usata come segnalibro. Per la tesina, Maria Teresa d'Austria?»

Quando si scopre che anch'io avevo inserito il nome della regnante tra i papabili candidati, riusciamo finalmente a iniziare il nostro progetto di lavoro, con troppe idee da mettere nero su bianco e soprattutto troppo poco tempo.

Tra un'uscita con Marco e una serata da Valentina, le settimane passano e resta un pomeriggio per definire gli ultimi dettagli e portare a termine il lavoro, prima che Sinistri raccolga gli elaborati e ci affibbi un voto che pretendiamo superiore all'otto. Mia madre ha avuto la brillante idea di imbiancare la cucina e così io e Nicola siamo costretti ad andare da lui.

«Hai davvero una bella casa» gli dico, quando arriviamo in salotto.

Soffoca una risata, capisce che ho ripetuto una sua battuta:

«Sia da dentro sia da fuori?»

Rido apertamente:

«Sia da dentro sia da fuori».

È una villetta in stile moderno, con porte di vetro azzurro tra i vani dell'abitazione, mobili scuri e pochi ornamenti. In tutta la sala c'è solo una foto della famiglia Ulivieri. Il padre di Nicola ha una mano attorno alle spalle della moglie, mentre i due fratelli, in primo piano, gareggiano a esibire l'espressione più seria.

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