Profondo bianco (II)

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Sono intrappolata in un incubo, uno di quei film horror che piacciono tanto a Marco, dove i frame vengono assemblati a caso. Sono scene montate senza seguire il filo di una narrazione, l'intreccio di una storia. Il loro unico scopo è terrorizzare lo spettatore in un crescendo di sangue, paura, mostri che escono dagli armadi e uomini armati di motoseghe. Ai titoli di coda, uno spettatore con un minimo di senso critico non riuscirebbe a definire la trama del film.

Così io, se dovessi riassumere la giornata di oggi, non saprei dire come è iniziato questo inferno personale, raccontare al grande pubblico la tortura di Biagio. Quando è arrivato in ospedale? Chi lo ha portato? Ha avuto il tempo di provare paura?

«Aiuterebbe sapere cos'è successo» dice Yuri. «Ci stiamo torturando con un silenzio che è inutile, solo perché nessuno vuole chiederlo.»

È il discorso più lungo che ha pronunciato da quando sono salita sulla Golf.

«Dico che è stupido avere paura delle parole e dei fatti» insiste, di fronte al nostro silenzio. «Stare zitti non aiuta. Non è che se non diciamo morte, allora Biagio non muore.»

Alla fine esce, l'odiata parola di cinque lettere, un pugno tra le costole, un promemoria di quanto io sia inutile, a starmene qui con le mani in mano, a mangiarmi le pellicine delle dita, a dimenarmi nel dubbio, se piangere o costringermi a restare forte.

«Non so» boccheggio. «Io non so.»

«Basta» ordina Yuri. «Basta piangerci addosso e compatirci. Se qualcuno sa quel che è successo, lo dica.»

Un sospiro di Stefano, ancora di fianco a me, preannuncia la sua voce:

«L'infermiera parlava di una deformazione nella zona subaracnoidea o qualcosa di simile. Ce l'aveva dalla nascita, ma non lo sapeva.»

Piccoli brividi rizzano i peli della nuca, la pelle d'oca riveste il corpo. Subaracnoidea, una parola orribile. Ricorda una schiera di ragni. Li vedo crescere nel cervello di Biagio, creare delle tele di fili, ostacolare lo scorrere del sangue.

«Deve aver ostruito una vena e quindi è scoppiata» continua a dire Stefano.

«Un coagulo di sangue nel cervello?»

Yuri cerca di riassumere il discorso in termini più semplici. I brividi diventano delle scosse, sempre più forti.

«Era andato a bere una cioccolata con Monica» dice Marco. «Ma aveva mal di testa e poi...» Si blocca e indaga le mattonelle del pavimento. «Quando Anna è tornata a casa, lo ha trovato in bagno. Ha detto che c'era vomito dappertutto, sulla tavoletta, sulle pareti e allora ha chiamato l'ambulanza.»

Conosco il bagno di Biagio. Due metri per due, le piastrelle scure, il lavandino bianco e il gabinetto incastrato a stento tra la doccia e la porta. Mentre Marco parla lo vedo, Biagio che si inginocchia davanti alla tazza e vomita, si accascia su se stesso, grida e nessuno corre. Porto un palmo alle labbra.

«Ok, basta.»

Un'altra di quelle immagini e vomiterò anche io. Marco annuisce, recupera il cellulare, una vibrazione improvvisa, un messaggio in entrata, lo sbircio con la coda dell'occhio:

Ho saputo. Mi dispiace tantissimo. Vorrei essere lì con voi. In questo momento non riesco, ma per qualsiasi cosa non esitare a scrivermi o a chiamarmi. Se hai bisogno, io ci sono a qualsiasi ora. Un abbraccio, Celeste.

Marco si rificca il cellulare in tasca:

«Celeste. Dice che non riesce a passare, ma se ci serve qualcosa...»

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