Divisi cadiamo (I)

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È una settimana che continuo a stilare infiniti elenchi di non riesco a crederci. Perché è vero: non riesco a credere che mi abbia trattata così, non riesco a credere che mi abbia buttata, non riesco a credere che abbia rinunciato a noi senza lottare. E ancora: non riesco a credere che non sia corso da me con il fiato trafelato e un sacco colmo di cioccolato extra-fondente per implorare perdono.

Niente, silenzio stampa, nemmeno l'ombra di un ripensamento. Marco è inchiodato nella sua decisione finale, in quel piano sussurratogli da un padre che venera come un dio.

E così, nel giro di sette giorni, le lancette volano nel cielo dell'orologio e di minuto in minuto, non faccio che sbattere contro un muro che mi spacca in due: Marco non cederà.

È un pensiero che mi sgretola lo stomaco, mi rende iperattiva e agitata. Schizzo in mille attività – cucina, giardinaggio, pittura – tutto, pur di tenere la mente occupata, ma è un fallimento epico, perché sto uscendo di matto, perdendo completamente la ragione.

Perché? Sei mai stata normale, ragazzina?

Ah, sì. Ve lo presento, lui è la novità dell'ultimo periodo, il grillo parlante, una spina nel fianco che sputa sempre sentenze al veleno, giusto per affossarmi ancora un po':

Se Marco non ti cerca, è perché non gli manchi e questa storia del distacco graduale è una scusa per liberarsi di te.

Divoro le unghie, un attacco di fame nervosa che mi brucia le pareti dell'intestino.

Non può avere ragione il grillo, che il binomio fosse una relazione come un'altra, passeggera e instabile, che quel senso di eternità fosse solo un mio abbaglio. Eppure, i fatti confermano la teoria.

Sono allo Yeti e Marco è davanti a me. Solo che non mi vede, perché non siamo qui insieme, ma come due numeri singoli, due entità slegate. E lui è così attento a ignorarmi che mi sembra di indossare il mantello dell'invisibilità, di essere un sottile filo di fieno disperso in un pagliaio.

Al bancone ingurgito un boccone di stizza, quando lo vedo fare il brillante con Ombretta. Ho bisogno di qualcosa per ferirlo: un fucile, una cerbottana, un sasso.

Un semplice Ivan Ulivieri, suggerisce il grillo.

Allora forse non è solo un insetto petulante e soporifero! Forse qualche lampadina dell'ingegno funziona in quel cervelletto da lepidottero!

Ivan Ulivieri, ecco l'arma che fa al caso mio! Peccato che nella triste realtà di Viacampo, quando cerchi un supereroe, non lo trovi nemmeno con il binocolo.

«Da quando il pivello sta attaccato alle gonne della Fedetti?» mi chiede Yuri. In una delle sue magliette da rockettaro, mi allunga una bottiglia già stappata. «Ottima birra irlandese

Marca l'aggettivo irlandese con la voce, il tono di un gatto che gioca con un povero topolino indifeso. Ecco, tutto quello di cui non ho bisogno è il suo terribile sarcasmo!

Yuri si lascia cadere su uno sgabello libero e, mio malgrado, accetto la sua compagnia: non ho di meglio da fare, se non rodermi la bile, ora che Marco piroetta con la Fedetti nel centro del locale.

«Conosci un certo Ivan Ulivieri?» domando con gli occhi inchiodati a una valanga di ricci biondi.

Yuri sorseggia un goccio di schiuma, lecca via due gocce amare dalle labbra.

«Ivan Ulivieri è leggenda allo Yeti» mi dice. Scrolla i capelli castani, prima di legarseli in un alto chignon, perché non gli cadano nella sua tanto amata birra. «Quando era all'ultimo anno di liceo, lui e il suo gruppo hanno distrutto quattro strippati che cercavano di rifilare roba a un paio di ragazzine.»

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora