Divisi cadiamo (II)

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E invece un terribile raffreddore mi inchioda a casa, rintanata sotto il lenzuolo per una maratona di cartoni Disney.

È una distanza forzata di due giorni, eppure la voglia di vederlo è così alta da ingarbugliare la linea del tempo e trasformare quella manciata di ore in un secolo intero. Sono frazioni di secondo e minuti più pesanti del titanio, perché non c'è pace tra di noi, perché vogliamo superare il fantasma di quella lite. Entrambi.

Ora lo so che Marco è ancora con me, lo capisco dai trecento messaggi che mi invia, dalle mille chiamate, dai quattro tentativi di incursione in casa Adami, tutti finiti con una strigliata di mio padre.

Nina adesso non sta bene, si farà viva lei quando ne avrà voglia!

Il lato malvagio di me mi ha impedito di richiamarlo, di rispondere ai suoi sms, ha voluto tenerlo appeso alla graticola, ripagarlo con la carta del silenzio, per avermi fatta soffrire.

Ma alla fine sono proprio io a muovere il passo decisivo e così – domenica, sette di mattina – forte ancora di un naso ostruito, mi presento a casa sua per distruggere la muraglia del distacco graduale

Davanti al campanello di casa Zuccato, sventolo un sacchetto di brioche fumanti e attendo che il capofamiglia mi apra. Eccolo che compare, la copia invecchiata del figlio. Fa capolino sull'uscio, mezzo addormentato nel pigiama azzurro, imita uno zombie appena risorto dalla tomba.

«Nina? Che ci fai qui, sono le sette di mattina...»

«Brioche per tutti!» canticchio con il sorriso della vendetta stampato in viso.

Massimo, mio caro, hai provato a sabotare il binomio? Hai deciso di mandare Marco in Irlanda? E io ti rovino l'unico giorno di ferie in un mese di lavoro!

«Il tuo amico» bofonchia lui in un concerto di sbadigli che non riesce a silenziare.

Lo ignoro e, a ritmo di marcia, mi invito in salotto, supero i divani blu, saluto con un cenno il quadro con il ritratto di Freddie Mercury. Obiettivo camera di Marco, ma Massimo mi intercetta:

«Il tuo amico» ripete. Sottolinea con troppa enfasi il tuo, il che vuol dire che Marco ne ha combinata una delle sue. «Il tuo amico è tutta la notte che se ne sta chiuso in garage a sistemare la marmitta di Floyd. Di tanto in tanto si è pure degnato di suonare il clacson della mia auto per ricordare al vicinato che sono un pessimo padre.»

Conosco Massimo da due anni ormai e so che sta per buttarsi in uno di quei discorsi terrificanti sul mondo degli adulti.

«Non ce l'ho con te» gli dico. Nemmeno io posso sopportare un confronto a cuore aperto di domenica. «Per nulla.»

Lo zombie si stringe nel pigiamone azzurro, resta così spiazzato che mi dà l'occasione di scappare e di raggiungere Marco in garage.

«Nanà?»

Se a Massimo sono sembrata un orribile miraggio, portatore di vendetta e rancore, la bocca spalancata di Marco mi fa sentire l'apparizione della Madonna a Fatima. Abbasso la saracinesca e mi avvicino a lui con passo deciso, evitando di inciampare nelle chiavi inglesi e nei cacciaviti sparsi sul pavimento.

«Ho deciso che dovremmo fare il pieno» gli dico.

Marco punta il dito su una tanica di benzina vuota e un imbuto con una calza al posto del filtro, mi fa capire di avere appena fatto l'aggiunta a Floyd.

«C'è una festa?» mi chiede. «Andiamo lontano?»

Subito scuoto la testa, per dirgli di lasciar perdere Floyd, la tanica di benzina e l'imbuto con la calza, che tra parentesi è mia e che non ricordo di avergli regalato.

«Il pieno di noi» chiarisco. Non serve andare lontano. Non c'è nessuna festa. «Assuefazione da Nina.»

Se la mia prima frase gli riempie il viso di gioia, la seconda lo immobilizza in una morsa di confusione.

«Che cosa vuol dire assuefazione?» mi chiede.

E pensare che terminato il liceo vuole iscriversi a medicina e seguire le orme di Massimo! Soffoco un'ultima risata con un colpo di tosse, il naso ancora chiuso:

«Vuol dire che in queste ultime due settimane mi vedrai talmente tanto da non sopportarmi più!»

Ecco che il suo viso si illumina di nuovo, il sorriso da Stregatto ricompare sulle labbra. Marco lascia cadere a terra una chiave inglese, salta oltre due vecchi stracci sporchi di olio e approda davanti a me, pronto a sollevarmi tra le braccia.

«È impossibile che questa cosa dell'assuefazione funzioni, Nanà. Mi manchi un giorno dopo l'altro, sempre più. È stato un errore, questo distacco graduale, un errore tremendo!»

Mi stritola in un abbraccio, quasi mi toglie il respiro, oltre alla circolazione del sangue. Mi alza una spanna da terra e ruota su se stesso più e più volte, sempre più veloce, finché non cadiamo entrambi in ginocchio, tra i panni imbrattati di olio e le macchie di benzina.

Adesso lo so cosa mi aspetta nel futuro: il binomio. Tornano le corse in riva al lago, i gelati sfracellati al suolo nel tentativo di sporcarci, i campanelli suonati per disturbare i vecchietti, le gare a lanciare i popcorn in aria e a prenderli con la bocca.

«Andiamo a comprare le chewing-gum» mi dice Marco, quando sono le sei di sera.

Salto in groppa a Floyd e percorriamo a velocità minima la pista ciclabile. Due signori sulle biciclette ci urlano dietro, minacciano di chiamare la polizia, ma a noi non importa, ora che siamo di nuovo insieme.

Brooklyn, un pacchetto intero, chewing-gum rettangolari e sottili.

Ripariamo in riva al lago, sotto al salice, lo stesso punto dove l'estate scorsa montavamo la tenda e passavamo la notte a sparlare.

«Bene, Nanà» canticchia Marco, mentre stendo la coperta. «Mi hai detto che hai fatto una maratona Disney. Che scena è questa?»

Il cielo si fa buio, le stelle iniziano a bucare il manto color notte, sono le nostre luci personali, i fari che illuminano il palcoscenico di un binomio appena ritrovato.

Marco si ficca un'estremità della chewing-gum in bocca, contorce il viso e muove la gomma imitando la lingua di un serpente. So subito che scena è, anche se non è uno spaghetto di ragù, anche se lui non è Vagabondo e io non sono Lilly.

Eppure il mio corpo reagisce in automatico a quella richiesta silenziosa, la bocca che cattura l'estremità libera della Brooklyn e avanza, guadagna terreno sulla striscia di gomma.

Finché non incontro le labbra di Marco, i nostri nasi che si piegano, senza un bacio, solo uno strofinamento morbido, prima di staccare la chewing-gum e di masticare un altro momento di noi.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora