Divisi cadiamo (III)

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Quando mi sveglio, alba inoltrata, l'umidità del suolo è salita tra i sassi della riva e ha bagnato la coperta di lana. Marco mi abbraccia come se fossi il suo orsacchiotto, tenendo la gamba sulla mia coscia e impedendomi di muovermi.

«Marco, spostati! Mi stai schiacciando!»

Per svegliare uno zuccone non basterebbe un martello a pneumatico infilato nelle orecchie e, infatti, sua madre Rita lotta ogni mattina per buttarlo giù dal letto, con musica a tutto volume e lenzuola levate all'improvviso.

Da parte mia, posso solo punzecchiargli i fianchi e usare la carta del solletico, passare le mani sotto la maglietta, direzione ombelico, quando lo sento mugugnare il mio nome.

«Marco? Non ce la faccio più!»

Tra due settimane partirà, due mesi e mezzo senza di lui, ottanta giorni in cui darei tutto l'oro del mondo per riprovare questa sensazione di indolenzimento. Ma non rovinerò questi ultimi attimi, lasciandomi travolgere dai cattivi pensieri, no. Vivrò ogni secondo al massimo, per non rimpiangere nulla.

«Svegliati!» strillo e gli piazzo una gomitata nello sterno.

«Nanà, che cavolo! Perché l'hai fatto?»

«Perché pesi e perché mi avevi promesso che avremmo visto l'alba.» Indico il sole. Ha appena varcato la linea dell'orizzonte, un grande pallone giallo che si alza sempre più verso il centro del cielo.

Gli sbadigli di Marco si mescolano allo starnazzare di anatre e cigni, ai passi dei primi sportivi che corrono a riva con l'ipod nelle orecchie e il contapassi attaccato alla cintura.

«Domani ce la faremo, giuro!» mi dice. E se non domani, dopodomani o domani ancora, finché non avremo l'ultima chance. Poi dovremo aspettare un anno, una nuova estate. «Nanà, noi saremo sempre qui.»

«Non ne ho mai dubitato.»

Cerco il thermos nello zaino e me ne verso una tazzina. È congelato e troppo zuccherato, il peggior caffè che abbia mai bevuto. Eppure basta un sorso per ricordarmi di una questione irrisolta.

«Mi ha scritto Biagio ieri» rammento. «Chiede se facciamo qualcosa nel pomeriggio. Perché non lo senti?»

Tra uno sbadiglio e l'altro, Marco mi guarda di traverso. Il binomio si è appena riappacificato e Biagio potrebbe sembrargli un'aggiunta sgradevole.

«Mancherai anche a lui, Marco.»

Vedo benissimo che sta trattenendo un sorriso di gioia. Lo nasconde perché, per quanto sia fiero della sua amicizia con Biagio, per una questione di orgoglio, si vergogna ad ammetterlo.

«Non gli mancherò mai quanto a te, Nanà.»

«Mai quanto a me!»

Iniziamo una sessione di solletico e, solo quando mi trovo senza fiato, Marco recupera il cellulare e manda un sms a Biagio che in tutta risposta accetta e propone il luogo dell'incontro.

Casa Rossa. Dieci in punto. Porto il pranzo.

Assolutamente no!

Provo ad attirare l'attenzione di Marco strattonandolo per l'orlo della maglietta, ma quello zuccone sta già gridando che è un'idea fantastica, Biagio è un figo e noi dobbiamo andare a casa al volo, a prendere gli asciugamani e i costumi da bagno.

«Marco, ma a me la Casa Rossa fa paura!»

Le mie parole non lo raggiungono.

«Muoviamoci, Nanà!» Mi prende per mano e mi costringe a salire su Floyd. «Dobbiamo prenotare il posto!»

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora