Escargot (II)

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Non comprenderò mai Ivan Ulivieri, se anche per un solo istante mi sono illusa del contrario. Non comprenderò nemmeno Stefano Nisi. Alle otto di sera voleva parlarmi, mi osservava da lontano per capire in quale attimo mi sarei liberata di Ivan. Adesso che sono le dieci e mezza passate e mi trovo da sola sulla panca di legno, smette di guardarmi. Recupera una sigaretta dalla tasca dei jeans sgualciti e se la accende. Fuma a grandi boccate, sprigionando nuvolette di tensione.

Ci scambiamo occhiate fugaci, nella speranza che uno dei due prenda l'iniziativa. Ma così non è, e passa un'altra mezz'ora – il tempo necessario perché Marco e Celeste abbandonino la festa – prima che Stefano si sieda al mio fianco. Ha fumato cinque Drum nel frattempo e puzza di tabacco bruciato.

«Tutto a posto?» mi chiede.

«Nella norma.»

Nel giro di venti minuti esauriamo ogni possibile argomento di conversazione che io definirei di circostanza. Ho il terrore di fissarlo, perché non riesco a capire cosa voglia dirmi. Pur di evitarlo, mi metto a guardare alcuni bambini che saltano sui castelli gonfiabili.

«Ti va di fare due salti?» mi chiede Stefano, accendendosi la sesta sigaretta.

«Certo che no! Non credo che gli adulti possano salirci.»

Stefano alza una spalla. Nessuno dei due ha la minima intenzione di piroettare su quelle enormi costruzioni piene d'aria, ma ci mettiamo comunque a parlare della possibilità, solo perché fa argomento.

«Potresti cercare un bambino sperduto, fingerti sua sorella e adottarlo come scusa per andare sul castello delle principesse!»

Indica una grande costruzione rosa, dove un mucchio di bambine con i due codini si divertono a saltare. Pizzico tra le dita la maglietta di ricamo.

«Di certo non vestita così!»

Stefano mi getta una veloce occhiata, ma non ha bisogno di studiarmi nel dettaglio, perché con ogni probabilità il mio insolito abbigliamento in tiro non gli è sfuggito.

«Ti sta bene» dice, prendendo un tiro alla sigaretta. Ringrazio, in lieve imbarazzo, e sento che il momento è arrivato.

«Cosa dovevi dirmi?» gli chiedo con un filo di voce.

Stefano getta la sigaretta a terra e la spegne sotto il tacco della scarpa. E pensare che avrebbe potuto fumarne ancora metà!

«Lo sai che io e Pietro, oltre a organizzare fantastiche feste di birra artigianale e cibo a sbaffo, siamo sempre stati sostenitori di Amnesty International, vero?»

Come non saperlo! Stefano è talmente interessato alla questione dei diritti umani da avere chiamato i suoi gatti Amnesty e International.

«E sai anche che ci interessiamo di volontariato, vero?»

Di nuovo annuisco, sebbene non capisca dove vada a parare questo discorso. Sono in classe con Stefano da quattro anni, però adesso mi sfugge perché gli venga così difficile parlare chiaramente.

«Che cosa stai cercando di dirmi?»

Stefano alza le spalle e con una mano fruga nella tasca in cerca di un altro Drum. Aspetta ad accenderlo.

«Abbiamo già ottenuto il permesso dei nostri genitori, visto che a differenza di qualcuno qui presente dobbiamo ancora compiere i diciotto.»

Improvvisamente si accende un sentore, la spia che non mi piacerà la rivelazione di Stefano.

«Vedi, Nina. Abbiamo deciso di andare nella Pampa argentina. A dare una mano nelle piantagioni, ad aiutare a costruire scuole, edifici per la sanità. Ci sembra il modo giusto di concludere l'estate.»

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