Sono più per il rum (II)

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Le nonne raccontano che Babbo Natale si diverte a segnare su un librone i nomi dei bimbi buoni e di quelli cattivi. Se oltre a queste categorie, ci fosse una sezione intitolata "opportunisti", sarei segnata in cima alla lista. Sono in chiesa, in uno stato talmente pietoso che un parroco, vedendomi, supplicherebbe l'intervento dell'esorcista. Ho ancora addosso la felpa di Marco e i pantaloncini troppo corti per quella maglia, ma non è questo il dettaglio che stona con l'ambiente religioso. È la bottiglia di scotch, il misterioso intruso da scovare.

Barcollo fino al primo banco e mi lascio cadere sulla panca. Questa volta non so cosa dirò a Gesù. Se per Biagio ero convinta di meritare un collegamento diretto con Padre e Figlio, adesso spero quasi di non essere guardata, perché non ci sono richieste o giustificazioni che reggano. Vorrei solo un semplice:

"Non fa niente. Si risolverà. Tutti ottengono il perdono".

Ma ho imparato a mie spese che Dio non risponde. Al che mi chiedo perché sia venuta qui e intanto tracanno altre due dita di liquido. Non cerco il perdono di Dio. A Dio non interessa se ho fatto sesso con Stefano. Cerco il perdono di Marco e spero che Dio interceda per me.

«Sta diventando una moda, Nina.»

Non mi stupisco della sua presenza, ma del fatto che riesca sempre a beccarmi in situazioni altamente umilianti. Nicola mi guarda, allarmato dal mio aspetto o dalla bottiglia di scotch che ho in mano, mezzo dito di alcol sul fondo. Per un secondo, nei suoi occhi, mi sembra di distinguere un lampo di dolore, come se stesse soffrendo, nel vedermi ridotta a uno straccio.

Si siede accanto a me:

«Tornavo dalla spesa.»

Giustifica la sua presenza, facendo oscillare la borsa di plastica, ma io non gli rispondo. Gli effetti dell'alcol arrivano in un'onda e devo chiudere gli occhi, concentrarmi sul mio respiro, per non vomitare.

«Ti ho vista entrare.»

Schiaccio il dorso della mano destra sulle labbra e premo. Calma, Nina. Se ordini allo stomaco di farsi passare il mal di mare, il mal di mare passerà. Riapro gli occhi. Più li tengo chiusi, più la testa gira.

«Stai bene?» Il mio aspetto grida di no. «Sei stata da Iachemet?»

Pensi davvero troppo bene di me. Pensi che sia ridotta così per Biagio. Perché ti piacevo? Mi viene da chiedertelo ma, nonostante l'alcol, riesco a filtrare i pensieri, a selezionare quanto è opportuno dire, quanto tacere.

«Biagio» sussurro. Sento la sbronza triste salire alla testa e rapire quel briciolo di razionalità che credevo di avere acquisito. Il naso pizzica, gli occhi bruciano. «Biagio non riconosce più nessuno. Non ha riconosciuto Ste...» Non è un nome che voglio pronunciare. «Monica. E non sa parlare, forse nemmeno muoversi.»

Le parole prendono velocità in automatico. Nicola le studia da dietro le lenti degli occhiali, le lascia scorrere, senza interrompere il flusso irrazionale di vocali e consonanti.

«E adesso penso che non tornerà mai lui e che forse si ricorda poco di me, solo il mio nome, non i pomeriggi passati a studiare insieme e quella volta che siamo rimasti soli nella metropolitana, oppure quando lui e Marco mi hanno costretta a saltare dalla Casa Rossa e Marco...».

Mi scappa un singhiozzo, ma lo soffoco sul finale.

«Non poter parlare, come il blaterare cose a caso non è terribile? Io preferirei morire mille volte piuttosto che farmi vedere così da qualcuno.»

A questo punto Nicola dovrebbe passare ai fatti, perché sto blaterando cose a caso e mi sta vedendo. Dovrebbe tramortirmi con il calice del vino, o annegarmi nella fonte battesimale o soffocarmi con una tunica del prete. Nicola invece ascolta.

«Io non voglio che Biagio muoia e adesso sono sicura che non morirà, però...»

Nicola mi sfiora la mano, ruba la bottiglia di scotch, quasi vuota, e la allontana dalla mia portata.

«Però, Dio è come il Drago Shenron! È un truffatore. Se non dici perfettamente il desiderio e ometti solo un piccolo dettaglio, lui ti frega. È vero che io avevo chiesto che Biagio vivesse, ma con vivere intendevo tornare normale e non in quello stato, che cavolo! E lui! Lui...»

Scatto in piedi e indico il soffitto della chiesa, gli affreschi degni dei migliori effetti speciali di Harry Potter. Ci sono gli angeli che girano e inseguono le stelle e fanno le capriole e poi tornano fermi. Nicola mi prende per la manica della felpa e mi trascina sulla panca.

«Lui cosa, Nina?»

«Lui lo farà tornare normale, vero? Farà tornare tutto come prima!»

«Boh.»

Che razza di risposta è?

«Cristo!»

Nicola sospira:

«Non ti aspetterai che risponda, spero.»

Lo fisso a bocca aperta e a occhi sgranati. Le sue parole si ripetono nei pensieri. Il suo sarcasmo è fuori luogo. Ha ripreso a vendicarsi per il torto che gli ho fatto, che poi non era nemmeno un torto. Sono stata sincera e ora sono ubriaca e lui non aiuta.

«Fai schifo a consolare le persone» lo rimprovero.

Nicola scompare di nuovo dietro le lenti degli occhiali. Quel guizzo di presunzione che era emerso si nasconde e lo costringe ad abbassare lo sguardo.

«Non ti sto consolando. Non c'è lo zuccone per quello?»

Con il mento indica la felpa. Di nuovo la sbronza triste riempie le orbite di lacrime, ma questa volta stringo i pugni e mi contengo. Non ascolto la sensazione di freddo che è tornata ad avvolgermi. La felpa di Marco è larga, non aderisce al corpo. L'aria gelida della chiesa entra dai rimbocchi delle maniche e resta intrappolata nella tela. Pensare che a breve non ci sarà più quella felpa a proteggermi mi distrugge.

«Nicola? Anche se mi odi, posso abbracciarti?»

Nicola sgrana gli occhi.

«Solo un attimo?»

Si irrigidisce.

«Ok.»

Non si muove e resta nella posa del palo della luce, con le braccia tese lungo i fianchi, le spalle dritte e gli occhi puntati sull'altare. Mi avvicino con indecisione e premo la guancia sulla maglietta grigia. A rallentatore, porto le mani sulla schiena, ma temo il contatto e mi limito a sfiorarlo. Nicola resta paralizzato per un minuto intero. Sento il cuore nel suo petto aumentare di battito. Non sa abbracciare una donna. Non mi sta nemmeno stringendo. Alla fine, tenta un minimo movimento, ma appena mi tocca la scapola, rompo quella goffa ricerca d'affetto.

«Grazie e scusa» mi sbrigo a dire.

«Prego e niente» si sbriga a rispondere.

«Adesso so cosa fare.»

Allungo la mano per recuperare la bottiglia e condannarla al cassonetto, ma Nicola non si fida e ne impedisce il salvataggio. Con un ultimo grazie lo saluto, sorprendendomi della sua innata capacità di rilassarmi. Barcollo, un conato di vomito che dondola in gola e una direzione sicura: Marco.

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