Stanza 24 (II)

72 15 33
                                    


La struttura ospedaliera dove Biagio è ricoverato è un bell'edificio bianco, un tempo residenza estiva di un signorotto di Verona. Durante la guerra, era stata ceduta alle autorità di Viacampo per essere impiegata come struttura sanitaria, un centro di soccorso per i feriti di guerra. A fine conflitto la villa, immersa nel verde, con un salone da ballo e un centinaio di stanze, aveva continuato a ospitare pazienti bisognosi di sorveglianza.

Quando parcheggio e spengo il motore della macchina, io e Marco fissiamo i tergicristalli senza trovare il coraggio di aprire la portiera e raggiungere la Signora Iachemet al secondo piano.

«Credi sia normale essere agitati?» mi chiede, il volto pallido.

«Io sono agitata da morire.»

Non gli dico che vorrei riaccendere la macchina e sgommare via, correre nel letto e nascondere la testa sotto il cuscino. Se Stefano e Yuri fossero già entrati nella stanza 24, riuscirei a stare più tranquilla, ma purtroppo siamo stati io e Marco ad andare in avanscoperta.

«Credi che Monica sia già andata a trovarlo?»

Marco alza le spalle:

«Papà mi ha detto che quando entreremo in quella stanza dovremo avere poche aspettative, ma comunque restare forti. Niente pianti e comportarci come ci comporteremo normalmente.»

La saliva aumenta in gola e continuo a deglutire, perché altrimenti rischierei di soffocare. Asciugo le mani sudate sul vestitino azzurro e alla fine scendo dalla macchina, imitata da Marco.

Monica è seduta su una panchina del giardino, con una rivista di gossip sulle ginocchia. Non la sta leggendo, perché la tiene al rovescio e nemmeno la guarda. Trascino i piedi, due macigni, verso di lei.

«Lo hai già visto?» le chiedo.

Lei trasalisce, gli occhi asciutti, come se dopo un mese di lacrime non avesse più una sola goccia di acqua salata in tutto il corpo, serbatoio a secco.

«Stamattina, per la prima volta. È sveglio e dice anche qualche parolina» rivela. «Però è molto cambiato e...»

Marco mi stringe la mano, perché il singhiozzo che Monica libera, quasi una risatina ironica, non preannuncia nulla di buono.

«Non si ricorda esattamente di me.» Monica si affretta a riprendere la parola. «Ma l'infermiera ha detto che è normale. Dovrò solo avere pazienza e ogni giorno parlargli un po' e lei crede che con i mesi...» Di nuovo singhiozza. «Forse con un po' di anni, ricorderà tutto.»

Non si ricorda. Di Monica. Di Marco. Di me. Mi scontro con un'eventualità che non avevo considerato. Nella semplicità dei miei pensieri, mi ero limitata a coppie di casi: vita o morte; bene o male. E invece quell'onda di sangue si è portata via tutti i ricordi che facevano di Biagio il nostro Biagio.

«Non sa chi siamo?» chiede Marco. «Come può non sapere chi siamo io e Nanà?»

Monica scuote leggermente la testa.

«Non lo so. Per il momento ha riconosciuto solo Anna e i suoi genitori. Dicono sia normale.»

Continua a ripeterla, quella parola. Normale. Ma per quanto io ci pensi, questa storia mi sembra pura fantascienza. Monica ci guida all'interno della vecchia villa, con i pavimenti in marmo chiaro e le scale che ricordano il lusso del Titanic. Nascosto tra i drappi delle tende e i lampadari di cristallo, percepisco di nuovo lo spettro della Tragedia.

Quando arriviamo alla porta con il numero 24, la troviamo chiusa. Riconosco la voce della Signora Iachemet. È piena di gioia, ma di una gioia infantile, finta. È una mamma che parla con un bambino di tre anni, chiedendosi con quale visitatore dovrà ostentare una forza che non ha.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora