L'uomo delle nevi (I)

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Per via di un tacito accordo tra me e Marco, il cognome Ulivieri diventa tabù. Dopo quel primo party a bordo di un Fifty truccato, ci imbuchiamo in tutti i ritrovi del paese, solo per apprendere che Ivan è attento a non perdersene nemmeno uno.

Da parte mia, do il cento per cento per stargli alla larga e non alimentare quelle sottili crepe che rivestono la bolla del binomio. Sono state saldate, sì, ma il timore che si ingigantiscano e creino una nuova voragine mi mozza il fiato ogni giorno.

E così bevo, ballo, provo il narghilè, soffio stelle filanti nei capelli di Marco, la pelle che arde di una strana sensazione, che gli occhi di Ivan mi siano sempre puntati addosso.

Ma non cedo e aumento la distanza tra di noi, anche quando il gene dell'eroe lo spinge a entrare in mio soccorso, perché ho alzato troppo il gomito o mi sono buttata in una bravata alla Nina.

«Non è che tuo fratello di notte si toglie la maglia della Converse e indossa la tutina da Batman?» chiedo a Nicola, cambio dell'ora, Marco che è fuggito fuori dall'aula per una sosta bagno.

Lui mi liquida con un'occhiata truce, di starmene al mio posto, visto che nessuno deve permettersi di deridere il suo caro fratello senza macchia.

«Com'è il libro?» mi chiede poi, appena adocchia la trilogia di Alessandro Magno, Valerio Massimo Manfredi, malamente premuta nello zaino.

Adoro leggere, in media cinque libri al mese, uno in più in estate, uno in meno se c'è scuola. E da sempre sono un'inguaribile fan dei classici ottocenteschi, al punto che credo di sapere le battute di Orgoglio e Pregiudizio a memoria. Per non parlare delle trasposizioni cinematografiche di Anna Karenina: le ho viste tutte a partire dal lontano 1910.

«Emozionante» gli rispondo con gli occhi a cuore.

Ultimamente ho sviluppato un interesse sviscerale per i romanzi storici ambientati nell'età classica, motivo per cui mi sono buttata a capofitto in ogni riga d'inchiostro scritta da Manfredi.

«Sai, credo che Alessandro Magno fosse il tipo di uomo per il quale avrei perso la testa.» Altro che tuo fratello! «Ora devo procurarmi l'ultimo romanzo uscito, il Tiranno, sulla vita di Dionisio di Siracusa.»

Nicola sembra sorpreso di scoprire che dietro il lustro della mia chioma si nasconda un intelletto superiore a quello di un criceto lobotomizzato.

«Te lo presto io» si offre. «Già letto e finito.»

Non faccio in tempo ad accettare che infila il volume bordeaux nella cartella, per poi tornare a ignorarmi quando Marco rientra in classe, soddisfatto di avere svuotato la vescica dalla Coca Cola trangugiata a ricreazione. 

Negli ultimi tempi ci stiamo impegnando anima e corpo a cementare le crepe nel binomio. Io ci provo, dall'apice della mia saggezza, a dirgli che dovrebbe cementare anche le sue conoscenze scolastiche, ma sono tutte parole al vento.

«Ho miliardi di energie, Nanà! E sono pronto a spenderle perché nulla distrugga il binomio!»

E così raddoppiano i momenti speciali, quelli da fotografia in cornice d'oro: il pupazzo di neve uguale al professor Battisti; i costumi di Carnevale da Stregatto e Cappellaio Matto; le gare di pattinaggio nel palazzetto in periferia.

Un giorno di fine febbraio, Marco incide con la lama del pattino la scritta B-I-N-O-M-I-O e, proprio mentre ci prepariamo a scattare una foto, un bambino inciampa sulla B e graffia il naso sulla O.

Subito i proprietari accorrono. Timorosi di finire nelle grane, ci strillano di levare le ancore e di non farci più vedere nei paraggi.

Se io sono veloce a lasciarmi l'accaduto alle spalle, Marco si impunta su questa enorme ingiustizia e non fa che borbottare, più rumoroso di una teiera con l'acqua in ebollizione.

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