Dodici renne per Kant (I)

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"Hai mangiato, Nina?" è il nuovo tormentone di casa Adami. Un tempo era prerogativa di mia nonna dirmi che sono troppo magra e che il cibo risolve ogni problema. Quando Nicola mi riaccompagna a casa e mia madre viene a sapere di Biagio, a stento mi chiede se sia vivo o morto. Il cibo, nella sua visione del mondo, è la panacea di ogni male: un cuore spezzato, l'ansia da scuola, un amico in coma.

«Preferisci un tè, una camomilla o forse una tisana rilassante?» mi chiede, quando si accorge che ho lo stomaco chiuso, l'intestino allacciato in un fiocco regalo. Non riuscirei a bere un solo sorso d'acqua, utile per idratare il corpo dopo quel pianto liberatorio.

«Forse della valeriana» insiste. Continua a impilare filtri sul tavolo. «E in frigo c'è della marmellata, se vuoi mangiarla con il pane.»

Antina aperta, una brina di gelo fuoriesce nella stanza.

«Ho mangiato, mamma» lo ripeto per la centesima volta, una mezza verità: ho passato il pomeriggio in ospedale a cibarmi di pellicine sulle dita e a martoriare le unghie smaltate. «Vorrei andare da Valentina, se non è un problema.»

Sgrana gli occhi, li ficca nei miei come manette da carcerato. Sono lucidi, le labbra tirate nell'auto-imposizione di restare forte, quando per istinto vorrebbe prendermi, chiudermi in casa e impedirmi di uscire per il resto dei miei giorni.

«Va bene.»

Cede, perché in diciotto anni è diventata una mamma perfetta. Anche se spesso mi sgrida e mi accusa di essere una scapestrata, ha capito che non posso crescere, se non provo a spiegare le ali. Ci saranno cieli felici, orizzonti plumbei di tempesta, ma se non sarò libera di sbagliare, di sbattere contro raffiche di vento e tifoni, non potrò mai fortificarmi.

«Però ti porto io» dice. «Niente motorino, oggi.»

Vespa, mamma. Pink è una vespa. Mi astengo dalla correzione lessicale perché comprendo la mole del suo sacrificio. Quando arrivo davanti a casa di Valentina, prima di scendere dalla macchina, la abbraccio e le stampo un bacio sulla guancia.

«Ti voglio bene, mamma.»

La cintura di sicurezza e la sua stretta a piovra mi impediscono di scostarmi.

«Anch'io, tesoro. Vengo a prenderti alle undici, va bene?»

Sono diventata peggio di Celeste, diciotto anni e un coprifuoco alle undici!

Accetto l'ennesimo patteggiamento, pur di non darle un dispiacere; del resto domani c'è scuola, a nanna presto, visto che nemmeno l'Apocalisse mi permetterebbe di saltare le lezioni.

Appena fuori dall'auto, trovo Valentina tra i roveti di rose sfiorite. Ha il viso basso, illuminato dalla palla della luminaria, e si rigira i pollici. Evita di essere un concentrato di frasi fatte e mantiene il silenzio.

Percepire il suo disagio, nugoli di insofferenza e imbarazzo soffiati dalle narici, genera un pizzico di colpa: se fossi stata a casa con mia madre, non l'avrei costretta ad affrontare questa tragedia.

«Guardiamo un film?» le chiedo.

Niente chiacchiere, niente stupide paroline di consolazione, niente pianti, niente lamentele su come il mondo faccia schifo, niente narrazioni dettagliate su quel che è successo.

«Splatter?» propone, sollevata dal pronostico della serata, rincuorata dal fatto di non dover affrontare l'argomento. «Horror? Thriller

Appena arriviamo in salotto, realizzo che ha preparato due confezioni di fazzoletti sul tavolino davanti al divano, il timore che crollassi tra le sue braccia in un pianto disperato. Non sa che mi sono già sfogata davanti a Nicola, uccidendo la dignità, ma al tempo stesso recuperando le forze.

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