Jolie - Pitt (I)

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Tra le braccia di Marco sto bene. È il pensiero ricorrente che mi accompagna dalla primavera all'inizio della stagione estiva, una certezza sempre più viva quando mi sento sommergere dalla paura per il futuro o dal ricordo di Nicola.

Per il resto dell'anno scolastico siamo stati attenti a recidere la linea dei nostri contatti: niente più tragitti casa – scuola in bicicletta, niente più saluti alla prima ora, niente conversazioni filosofiche sulla scia di Ivan il saggio. Mi è bastato restituirgli la collana per tagliare qualsiasi forma di socializzazione, al punto che non ci guardiamo nemmeno negli occhi. Al minimo incrocio, lui schizza via in cerca della bicicletta, io a ripararmi tra le braccia di Marco, perché il suo profumo, i suoi baci sulla fronte, i suoi Nanà cantilenati con dolcezza sono la panacea contro ogni male.

A volte mi odio per essere così debole. Sono piccola, incapace di affrontare Nicola da persona adulta, di dirgli che è stato quel che è stato, non dobbiamo vergognarci delle nostre azioni.

Invece mi basta ripensare a quella conversazione al semaforo, per sentire nello stomaco un formicolio d'angoscia, lo stesso che provo quando Marco decide che con l'estate è arrivato il momento di dedicarci ai film dell'horror. Ovviamente di notte, quando l'unico fascio di luce è il getto azzurro proiettato dal televisore.

«Nanà, che fifona che sei!» ride Marco, davanti all'ennesima scena al cardiopalma, quella in cui la protagonista non dovrebbe aprire la porta. Mi tira il lenzuolo sopra la testa per impedirmi di vedere l'ennesima scena splatter. «Hai proprio paura di tutto. A volte mi sembra che perfino Nicola Ulivieri ti spaventi!»

Ride con cinque strati di prosciutto sugli occhi, l'incapacità di capire che si nasconde del vero dietro quella sensazione. E io ne approfitto per schiacciare il naso nel suo petto.

«Non sono una fifona» borbotto.

«Ma se ti fa paura anche il Titanic!» ridacchia lui, solleticandomi i fianchi.

«Non è vero che ho paura del Titanic!» sbotto, la voce che rimbalza contro il muro della sua maglietta. È che sono allergica alle storie d'amore, a tutto quello che non è un binomio e che, potenzialmente, potrebbe ferirci.

Dopo i periodi bui che abbiamo vissuto, soprattutto in seguito alla sua partenza per l'Irlanda, siamo tornati al segnale di partenza, in attesa dello sparo del via, attenti a non commettere errori, perché adesso siamo grandi, la terza liceo è finita e ho diciassette anni.

«Se ho paura di qualcosa, è che diventerai così alto da costringermi a tagliarti le gambe con una motosega!» puntualizzo durante la prima visione di The Ring,

Marco mi punisce con una pernacchia sulla pancia e io scalcio, menando i piedi all'aria. Dice che è appena un metro e ottanta e che sono una melodrammatica, quando in realtà ho solo constato il vero: è cresciuto. Le sue braccia, in prima liceo smilze come grissini, si sono tonificate, i muscoli leggermente scolpiti dagli allenamenti di basket e dalle flessioni cui Valter lo costringe quando arriva in ritardo alle partite.

Anch'io sto cambiando. Stando alle parole di Marco, resterò sempre una piccoletta dalla mente malvagia, per quanto il tempo mi abbia sgonfiato le guance paffute, aggraziato i fianchi, rassodato un accenno di seno in mezzo al petto.

A volte mi chiedo se Marco se ne sia accorto; se quando dormiamo la notte, sente che non sono più una quattordicenne reduce dall'apparecchio ai denti, ma una giovane donna che grazie a lui sta imparando ad amare ogni aspetto di sé, perfino quei capelli ruggine che ho sempre odiato.

Di sicuro Massimo coglie il cambiamento, complice un suo rientro inatteso in un pomeriggio di giugno. Ci trova avvinghiati sul divano in pose da contorsionisti, Marco nella forma del ponte, i talloni piegati nell'imbottitura troppo molle, io sotto di lui, la faccia in mezzo alle sue gambe.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora