Dodici renne per Kant (II)

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Marco non chiama per scusarsi. Io non gli telefono in cerca di spiegazioni. Mi ripeto tutta la notte che non ha importanza, che c'è di peggio nella vita. Quello che è successo a Biagio è la personificazione del peggio.

Per me e Marco è solo una fase. Le nostre auto viaggiano ancora in parallelo, c'è stato solo un piccolo sbandamento che ha portato la sua fuori dalla carreggiata, ma i freni funzionano, il cofano non bucherà il guardrail, la carrozzeria non si accartoccerà a causa dell'impatto. Marco sarà veloce a sterzare e a rimettersi in pista, a tornare da me.

Sei importante, Nina.

Il tentativo di auto-convinzione non allontana la crisi. Presto al fallimento della vita sociale, si aggiunge il fallimento scolastico. Nel giro di due giorni, colleziono tre insufficienze: trigonometria, greco, inglese. E ora è in arrivo un altro insuccesso. Lezione di filosofia.

Sinistri, con i gomiti sulla cattedra, si sostiene la testa.

«Qualcosa sulle dodici categorie di Kant, Nina?»

«Sono dodici.» Il che è come constatare che il cavallo bianco di Napoleone è bianco. Sinistri non si rassegna e prende per buona la mia tautologia.

«Sì, ma, potremmo iniziare a dire quali, non credi?»

Ci manca solo che incroci le dita e mimi la risposta giusta: unità, pluralità, totalità, negazione, realtà, limitazione, inerzia-sussistenza, causa-effetto, reciprocità, possibilità-impossibilità, esistenza-inesistenza, necessità-contingenza. Le so, ma a che cosa servirebbe ripetere una sequenza di nomi astratti? Nella vita di tutti i giorni, è importante quanto conoscere i personaggi di Alice nel Paese delle Meraviglie.

«Se vuole, so i nomi delle renne di Babbo Natale» gli dico. «Sono otto.»

Sinistri rischia di sbattere la fronte sulla cattedra. Il resto della classe si starà chiedendo se la mia ribellione possa spingersi tanto in là. Prendo un grande respiro:

«Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder, Blitzen».

I compagni sussultano, si domandano dove la studiosa Nina Adami abbia comprato questa strafottenza.

«Rudolf. Ti sei dimenticata Rudolf» sussurra Marco. «Chissà perché tutti si dimenticano di lui. E sì che ha il naso rosso.»

Nessuno ride, ma a me viene da sentirla. La risata di Biagio. Mi giro a fissare il banco vuoto, non un libro sul tavolo, non una Bic mangiucchiata o un foglio piegato a origami. Attendo la sfuriata di Sinistri, ma lui si limita a sospirare.

«Nina, ti supplico. Io lo capisco, ma a me serve un voto prima di Pasqua. Basta un sei tirato per non rovinarti la media. Ti prego. A tua scelta, un argomento qualsiasi sul pensiero di Kant.»

Non lo capisce che non mi importa?

«Non vedo l'utilità di studiare cosa pensano gli altri, quando non riesco a studiare quel che penso io.»

Fisso la porta, senza battere ciglio. La conversazione, interrogazione o quello che è si può ritenere finita. Mi metta pure quattro, vorrei dirgli, ma non è necessario. Lo fa di sua iniziativa. Appunta il numero sul registro e al suono della campanella esce dall'aula. Lo vedo correre dalla Lorenzi e dalla vecchia Pezzimi. Si lamenta con loro, dice che non si può andare avanti così:

"Dobbiamo fare qualcosa. I ragazzi stanno male. Nina oggi ha elencato i nomi delle renne di Babbo Natale, al posto delle categorie di Kant".

La Lorenzi si sforza di non ridere. La Pezzimi è rigida e risoluta. Dice che non bisogna allarmarsi, prima o poi le acque si calmeranno e i pesci smetteranno di credersi uccelli. Lei stessa, alla quarta ora, si deve ricredere, merito dell'intervento di Stefano.

«Scrivete un breve tema di dieci righe su quel che vorreste essere in un'altra vita» ordina la professoressa.

Scribacchia la consegna alla lavagna e ci dà dieci minuti di tempo, al termine dei quali ognuno dovrà leggere il suo pensiero. Non vedo la necessità di immaginarmi qualcosa che non sono, quando nella vita reale, Cenerentola non diventa una principessa, i topi restano topi, le zucche zucche.

Anatolia non la pensa così, e, quando la vecchia Pezzimi le chiede di leggere il suo pensiero, dice che vorrebbe essere Hilary Clinton. Dopo Celeste, che aggira la questione con un generico una persona sicura, è il turno di Stefano. Alla scena assiste anche Sinistri, in classe per recuperare il registro.

Stefano si alza in piedi e si schiarisce la voce con un colpo di tosse:

«In un'altra vita vorrei essere un Drum. Vengo acceso, vengo fumato, faccio felice un tizio e finisce lì».

È la catastrofe: la vecchia Pezzimi fugge dall'aula in cerca di un calmante; Anatolia risveglia il suo istinto femminista. Dice che un tizio è da misogini e che Stefano avrebbe dovuto dire una persona; Stefano la chiama scocciatura di una racchia; Anatolia raddoppia le urla; Nicola chiede il rinvio di ogni interrogazione; Rocco applaude il componimento di Stefano; Stefano ringrazia; Sinistri si butta sulla sedia, prende un Drum e se lo accende.

E io lascio che il caos sferzi i suoi colpi, senza farmi catturare dalla frenesia dei miei compagni.

Guardo Sinistri che si fuma il Drum, in pace con se stesso e con il mondo. È sbagliato, diseducativo e motivo di licenziamento, ma nessuno ci fa caso, se non Stefano che spalanca la finestra e copre il misfatto del suo professore preferito.

«È evidente che c'è un problema, ragazzi» dice Sinistri, quando i toni si sono abbassati. Getta il mozzicone sul davanzale esterno. «È comprensibile che ci sia e avete tutte le motivazioni del mondo per essere incaz...»

«Arrabbiati» suggerisce Anatolia. Lo salva dalla seconda infrazione nel giro di un minuto.

«Arrabbiati, certo» dice Sinistri, consapevole che la parola non renda l'ombra di quel che proviamo. «Io sono qui per farvi studiare, perché studiare, ragazzi – no, non interrompermi, Nina – studiare serve. Se non ci fossero medici, se non ci fossero stati dei progressi con la scienza e con la medicina, dove sarebbe Biagio adesso?»

Metà classe trasalisce per la sua schiettezza. Il nome di Biagio è un grande elefante addormentato in una cristalleria. Tutti sanno che esiste, ma nessuno osa pronunciarlo per il terrore che si svegli. Se ti attacchi alla proboscide o gli tiri la coda, c'è il rischio che dia una pedata e riduca in polvere ogni cimelio di vetro. Ma a Sinistri non importa che una preziosa collezione di cristallo si trasformi in un mare di schegge e pulviscoli luminosi.

«Convocherò il consiglio di classe questo pomeriggio, e contatterò i vostri genitori» dice. «Chiederò il permesso per un incontro con lo psicologo dopo le vacanze.»

Lo strizzacervelli? La catastrofe ritorna, ma questa volta non sono singole voci. È un coro con un unico bersaglio: Sinistri. Sinistri + strizzacervelli.

Anatolia e Rocco gridano che loro non sono matti, nessuno di noi lo è. Si oppongono alla proposta. Personalmente, credo che nemmeno uno psicologo, laureato a Oxford e con la mente di Freud, potrebbe risolvere il minore dei miei problemi.

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