Quella sera si chiuse in camera e si costrinse davanti al suo portatile. Doveva scrivere. Doveva farlo.
Non si unì ai ragazzi, che si erano di nuovo raccolti nella sala da biliardo. Aveva bisogno di stare da sola. Ma appena vide quella pagina bianca, sentì crescere in lei l'ansia e la paura. Provò a scrivere qualcosa, ma le mani le tremavano. Strinse i pugni e si alzò in piedi. Doveva calmarsi. Camminò avanti e indietro per la stanza. Doveva calmarsi. Provò a concentrarsi su un immagine o un'idea. Non importava cosa avrebbe scritto, bastava scrivere qualcosa. Il resto sarebbe venuto da solo.
«Ma chi voglio prendere in giro?» Rise nervosamente, le mani tra i capelli scuri. Lei non era una vera scrittrice. Il suo libro faceva pena, non valeva niente, tra qualche anno se ne sarebbero dimenticati tutti. Lei non era la Austen, Joyce o Shakespeare. Lei non avrebbe mai scritto qualcosa di alcuna importanza letteraria. La sua era solo una storia che si legge per passare il tempo, niente di più. Inizialmente aveva pensato che le bastasse, ma aveva solo mentito a se stessa. Voleva lasciare un segno, sebbene non ne avesse le capacità.
Ancora peggio, non era nemmeno stata lei a scrivere quel libro.
Era successo tutto una notte in cui era uscita a bere con delle amiche. Era tornata verso le due di notte, completamente sbronza. Non si ricordava niente dal momento in cui aveva messo piede in casa. Sapeva solo che la mattina successiva si era svegliata con la testa appoggiata sul suo portatile. Un documento word aperto, la storia di Zahira. Non era importante che quello fosse solo un canovaccio di appena cinquanta pagine e che lei avesse aggiunto il resto. Non era stata lei a scriverlo, ma l'alcool. E la possibilità che in lei ci fosse un genio inespresso, capace di attivarsi solo se sbronza, per quanto stupida come idea, la terrorizzava. Non voleva diventare dipendente dall'alcool pur di scrivere. Soprattutto conoscendo, per esperienza, come quel tipo di dipendenza fosse in grado di distruggere una vita.
E il fatto che non fosse ancora riuscita a scrivere niente, per lei, era la prova che quel pensiero era la verità.
Doveva calmarsi.
Si sedette di nuovo sul letto, il pc lasciato sulla coperta davanti a lei. Fisso lo schermo senza sbattere le ciglia, come pensando che bastasse quello per far comparire delle parole. Gli occhi iniziarono presto a bruciarle e dovette chiuderli.
Non ce la faceva, chiuse il computer.
Stava solo perdendo tempo. Era inutile prendersi in giro, lei non era una scrittrice. Che poi fra tutti i sogni che poteva avere, perché proprio quello? Perché andarsi a infilare in un mondo tossico e competitivo quanto quello editoriale e letterario. Non poteva scegliere qualcosa di meno impegnativo e stressante? Tipo il ricamo, quello sì che non era stressante. E invece no, doveva puntare tutto su un lavoro instabile e non conforme alle sue aspettative.
Si rannicchiò su se stessa e cominciò a piangere, cercando di non fare rumore. Non voleva rischiare che qualcuno la sentisse.
Pensieri tristi e angoscianti la tormentarono fino a notte inoltrata, quando fu troppo stanca per rimanere sveglia. Eppure, nemmeno nel mondo dei sogni riuscì a trovare conforto. Un vecchio incubo, che faceva sin da bambina, tornò a torturarla.
Tutto era oscurità. Elaine non aveva un corpo fisico e stava fluttuando nell'aria. Era immersa in questo buio che non le lasciava scampo. Improvvisamente l'oscurità iniziava a muoversi, tutto si spostava in una sola direzione. Lei invece rimaneva immobile, incapace di andarsene. Quell'oscurità l'attraversava e travolgeva. Voleva urlare per il dolore ma non poteva, non avendo un corpo non aveva nemmeno voce. Era in balia di quel buio che si muoveva come le onde del mare. Avrebbe voluto piangere, ma non aveva occhi per farlo.
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Dead Leaves || BTS
FanfictionDopo il successo del suo primo libro, Elaine è spinta dal suo agente a scriverne un secondo, ma questa volta si vede costretta ad affrontare un temibile ostacolo: il blocco dello scrittore. Pensando che cambiare ambiente potrebbe aiutarla, Elaine ac...