ASHLIE
Con mia sorpresa, quando il comandante seppe che la mia presenza era dovuta a un malinteso, non si arrabbiò. Mi fece alcune domande, per essere sicuro di avere capito davvero come stavano le cose, quindi si informò sulla mia attuale mansione.
Dato che "nullafacente" mi pareva poco elegante, dissi che ero in attesa di un nuovo incarico.«Allora è deciso: sarai dei nostri.» concluse infine.
«Cosa? Ma... Perché?»
«Perché non hai niente di meglio da fare, tanto per cominciare.»
Non era facile controbattere a quell'osservazione. Optai per la sincerità: «non voglio entrare nell'esercito!»
L'altro si strinse nelle spalle. «Non me ne importa nulla. Ho bisogno di gente come te, nella mia squadra.»
«Ma io...»
Il militare sbuffò, infastidito. «O questo, o ti sbatto in cella!»
«È impazzito? E con quale accusa?»
Il mio interlocutore mi rivolse un ghigno da far accapponare la pelle. «È in vigore la legge marziale, e sta per scoppiare la guerra: un motivo per cui far andare qualcuno in prigione è l'ultima delle mie preoccupazioni!»Con queste parole mi diede le spalle, troncando la conversazione; raggiunta la soglia, però, ristette ancora un istante e soggiunse: «ti aspetto domattina alle cinque in questa stessa palestra, per iniziare l'addestramento. Se non ci sarai, prenderò i provvedimenti opportuni.»
Passai il resto del giorno bighellonando senza meta in giro per il Formicaio.
Non riuscivo a farmi capace di quanto stesse succedendo. Avevo sempre odiato l'esercito: lo consideravo lo strumento con cui il regime ci controllava, massima espressione dell'ottusità della nostra gente e della sua sottomessa apatia.
Ritenevo i soldati individui di ristrettissime vedute, ignoranti e totalmente privi di empatia.E ora stavo per unirmi a loro!
Non avevo scelta, ovviamente: non potevo lasciare la struttura, che in quel momento era sorvegliatissima. Di sicuro non avevo nessuna intenzione di finire in galera soltanto perché le mie tendenze da martire si sentissero appagate.
La sera mi sorprese seduta su una vecchia terrazza, a prendere il fresco.
La brezza scuoteva gli immensi fili d'erba, facendoli ondeggiare pigramente.«Ero certo di trovarti qui.» disse una voce conosciuta. Gawayn.
Quello era stato il nostro posto segreto, da ragazzini. Un tempo, quel poggiolo era usato come deposito dalla manutenzione, per gli attrezzi di mantenimento delle facciate esterne. Quando un temporale ne aveva fatto crollare metà, la sovrintendenza aveva stabilito, con il consueto pragmatismo, che la spesa per ripararlo superava i benefìci attesi, e aveva quindi deciso di lasciarlo allo stato. Un cartello sulla porta con scritto "pericolo - accesso interdetto" era tutto quello di cui c'era bisogno per essere sicuri che nessuna Formica l'avrebbe mai aperta.
A parte me, ovviamente... e chiunque fosse abbastanza folle da seguirmi.
Come il mio migliore amico.
«Hai il terminale spento» notò.
Mi strinsi nelle spalle, in silenzio. Ero così confusa! Una parte di me voleva solo che se ne andasse, lasciandomi sola a macerarmi nei miei consueti flussi di pensiero. L'altra, però, desiderava che si sedesse accanto a me come quando, da ragazzi, sognavamo il nostro futuro, in quello stesso luogo.
Lui optò per questa seconda possibilità, prendendo posto al mio fianco.
«Erano anni che non venivo qui.»
«Anche io.» ammisi.«Non è cambiato nulla: il panorama è meraviglioso».
Scossi la testa. «Non è affatto così.» replicai.
Lo invitai con un gesto a guardare la foresta che si estendeva oltre il perimetro recintato. Rispetto ai miei ricordi, in cui le piante erano verdi e lussureggianti, quella sembrava solo una fotocopia sbiadita.
Le foglie erano macchiate di giallo, con le punte nere, quasi qualcuno si fosse preso la briga di bruciacchiarle una ad una.«Sapevi che... Quando i nostri antenati cominciarono ad estrarre la linfa, generazioni fa, ringraziavano ogni singolo albero per il dono che questi gli stava facendo? E rendevano grazie al Polline per...»
«Ash, ti prego... non ricominciare, adesso!»
«Guardiamo la stessa giungla, ma non vediamo la stessa cosa!»
«Non è vero. Io lo vedo, ma... insomma, che posso farci?»Chiusi gli occhi. Forse per la prima volta, la tristezza ebbe il sopravvento sulla rabbia.
«È proprio per questo che ci siamo ridotti così. Ci siamo convinti di non poter fare nulla, e abbiamo fatto di questa frase il nostro scudo, il jolly che ci salva da ogni senso di colpa!»Lui non seppe fare niente di meglio che passarmi un braccio intorno alle spalle.
«Abbiamo scoperto come trarre energia dalle piante. La linfa diventa combustibile per le nostre macchine e alimenta i nostri impianti, e così fanno le Api con il nettare. Ma anziché essere grati di questo tesoro, abbiamo chiesto sempre di più alla nostra terra. Siamo precipitati in una spirale senza fine, in cui ci serve più energia, che usiamo per cercare altra energia».
Sospirai, spaziando con lo sguardo sotto di me: le reti erano già state tese per oltre metà dell'altezza dell'edificio, sospese lungo i pali che avevo contribuito a fissare. In caso di attacco, su di esse sarebbe stato fatto passare un potentissimo campo magnetico, che avrebbe contribuito a proteggere il Formicaio.
Mantenerlo in funzione avrebbe consumato ancora più risorse.Ripensai al dialogo che avevo avuto solo pochi giorni prima con Gawayn. Sembrava trascorsa un'eternità.
"Sempre più Atta fanno ritorno vuoti", aveva detto.Le piante erano ormai ridotte all'ombra di sé stesse, titani agonizzanti da cui i nostri strumenti spremevano le ultime gocce di vita.
«Se muore la foresta, sarà la fine anche per noi. Possibile che nessuno lo capisca? Possibile che ucciderci tra noi e stabilire chi comanda, sia più importante della sorte della nostra terra?»
Il mio amico mi strinse a sé. Probabilmente pensava che non ci fosse nulla da dire per farmi stare meglio, esattamente come credeva di non poter far nulla per cambiare le cose.Io invece avevo trascorso la vita ripetendomi che una singola voce poteva innescare la trasformazione verso un mondo migliore.
Eppure in quel momento, per la prima volta, ne dubitai.Guardammo in silenzio il tramonto. Il mio stato d'animo cupo mi spinse a immaginare che i riflessi vermigli, con cui la luce del crepuscolo dipingeva le foglie, fossero le ferite che avevamo inferto alla foresta che sanguinavano.
Forse solo io potevo vederle.
Il mondo era malato, e noi eravamo l'agente patogeno che lo stava uccidendo.
SPAZIO AUTORE
Ci siete ancora?
Questo capitoletto è corto corto, di passaggio. Dobbiamo tornare presto da Duncan, possibilmente prima che si schianti a terra XD
Che ne pensate?
Vorrei che il tema dell'ecologia fosse uno di quelli di cui tratta la storia, insieme al razzismo.
In maniera discreta, non estremizzata né banalizzata, solo come spunto su cui riflettere tutti.Ovviamente le vere api e formiche hanno un preciso ruolo biologico, anche se talvolta le seconde possono causare qualche "inconveniente". :p
Nella finzione, invece, ho creato per le Api una società militarizzata, e per le Formiche una industrializzata: il loro stile di vita, forse un po' troppo simile al nostro, sta consumando il loro mondo, principalmente perché nessuno è disposto a rinunciarci.
L'incontro e il confronto con gli altri popoli, via via, aprirà gli occhi ai protagonisti, dimostrandogli che un'altra via esiste.Magari un giorno ne troveremo una anche noi ;)
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Il dominio delle Api [COMPLETO]
AdventureIl popolo delle Api e quello delle Formiche sono di nuovo ai ferri corti, e la più piccola scintilla rischia di far divampare l'ennesimo conflitto. Ma l'amore non conosce confini, e sboccia tra l'aspirante pilota dell'Alveare Duncan e l'anticonformi...