22. Il villaggio sul mare (prima parte)

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DUNCAN

Dopo il quadro comandi del Tafano, quello del Coleottero era una ventata di modernità: l'intera superficie era disseminata di pulsanti, display, monitor e selettori. Purtroppo per me, l'effetto era esattamente lo stesso: mi sentivo disorientato e non sapevo dove mettere le mani.

Takoda se ne accorse: «sei sicuro di riuscire a pilotarlo?»
«Non preoccuparti: se ha le ali, posso farlo volare!» Proclamai con spavalderia.

Prendemmo posto sui sedili e allacciamo le cinture. Mi presi qualche istante ancora per studiare la strumentazione, percorrendola con lo sguardo. Quindi disattivai il pilota automatico e impugnai la cloche.

«Andiamo!» Esclamai.

L'impressione era di condurre un sasso tramite lunghe briglie, mentre affondava nell'acqua: niente di quello che facevo sembrava evitare né rallentare la perentoria corsa verso il basso del velivolo. Ogni tanto il motore tossiva violentemente, scuotendo la carlinga da cima a fondo. In quei momenti, per un attimo le ali rallentavano e tendevano ad afflosciarsi, ed entrambi trattenevamo il fiato in attesa di sentirle ripartire.

«Duncan, forse dovremmo abbandonarlo al suo destino e lanciarci fuori!»
Non potevo accettare la sconfitta. Non volevo rinunciare senza averle provate tutte. Avevo promesso di occuparmi del carico e avrei cercato di farlo fino all'ultimo. «Tu va' pure, se vuoi.»
Scosse la testa. «Se tu resti, lo farò anch'io.»
«Allora stai pronto a dare gas al massimo, quando te lo dico».

L'apparecchio proseguiva con una lenta diagonale verso terra. Oltre le cime più alte della foresta, davanti a noi, il sole disegnava riflessi luccicanti sull'acqua: il mare!
Non l'avevo mai visto di persona, ma sapevo che in prossimità della costa la vegetazione degradava lentamente, fino a lasciare il posto alla riva sabbiosa. Tentare un atterraggio di fortuna nella foresta sarebbe stato un suicidio ma, se c'era terreno libero a sufficienza, forse avrei potuto provare con la spiaggia.

Nelle condizioni in cui si trovavano, i motori stentavano anche solo a mantenere tese le membrane alari, e non potevo sapere per quanto tempo ancora avrebbero continuato a funzionare. In compenso ero certo che, nell'esatto momento in cui si fossero fermati, il velivolo sarebbe precipitato come un pezzo di piombo, senza più nessuna possibilità di controllarne la traiettoria.

L'unica cosa sensata da fare, quindi, era cercare di ridurre al minimo il tempo di permanenza in volo.
Puntai quindi il muso verso il basso, cercando il percorso più breve verso la terraferma.

«Forse conosco un modo per sovralimentare i motori.» intervenne Takoda, distogliendomi dai miei ragionamenti. «Uno dei meccanici me ne ha parlato quando gli ho chiesto di spiegarmi come funzionano. Sono piuttosto sicuro di riuscire a farlo.»
«Se non avessi bisogno di entrambe le mani, in questo momento ti abbraccerei!» Esclamai. Una spinta ausiliaria, per quanto breve, era ciò che poteva fare la differenza nella manovra che avevo in mente. «Preparati a farlo al mio segnale.»

Mentre di sottecchi lo sbirciavo armeggiare con i comandi, provai un fastidioso senso di vergogna. Avevo pesato il mio compagno di viaggio prima ancora di conoscerlo, sulla base di sciocchi pregiudizi. Senza le sue conoscenze, la sua abilità di tiratore, la sua intraprendenza e il suo coraggio, certamente quella giornata avrebbe avuto una conclusione diversa.

Tracciai mentalmente una linea tra il muso del velivolo e il punto in cui pensavo di atterrare. Se volevo avere qualche speranza, non c'era spazio per correzioni di rotta: dovevamo attraversare le cime degli ultimi alberi.

«Se la manovra fallisce, non avremo una seconda possibilità: ci schianteremo sulla spiaggia. Se vuoi saltare, questa è la tua ultima occasione». Lui premette un pulsante che produsse un acuto segnale sonoro, quindi si preparò con una mano sulla manetta del gas e l'altra su un grosso interruttore rosso. «Ormai sono troppo curioso di vedere se funziona!»

Meno di un minuto dopo, il Coleottero si tuffò nella giungla d'erba. Le grosse elitre, spalancate, riuscirono a proteggere abbastanza bene le ali, falciando foglie e steli come fossero fantasmi incorporei. Qualche frammento però riuscì comunque a colpire il delicato patagio, disperdendo nella nostra scia brandelli di membrana alare.
Potevo soltanto pregare il Polline che quest'ultima non cedesse proprio nel momento critico.

Ogni fibra del mio essere era concentrata nella scelta del momento perfetto. Feci una stima del tempo che mancava all'impatto e cominciai a contare i secondi.
Quando gridai: «Ora!» seppi con certezza, dentro di me, che ce l'avevo fatta. Come talvolta i grandi artisti sentono di aver compiuto il loro massimo capolavoro, quando lo vedono completato.

Variai repentinamente l'angolo di incidenza delle ali, piegandole al contempo verso l'alto. Takoda spinse il pulsante e i motori andarono fuori giri con un selvaggio ululato.

L'intera carlinga venne attraversata da un violento scossone, quindi il Coleottero andò in stallo, puntando il muso verso l'alto e rallentando di colpo. Ci fu una violenta esplosione. Con prontezza, schiacciai il fungo di emergenza che toglieva l'alimentazione ai propulsori.

Come uno yo-yo al quale sia stato tagliato il filo all'improvviso, il velivolo precipitò.

«Reggiti!» Urlai, aggrappandomi con forza alla cloche con una mano e al sedile con l'altra, per dare il buon esempio. L'impatto fu violento ma, come avevo previsto, eravamo ormai abbastanza vicini al suolo per evitare che fosse fatale. L'aereo si abbatté sulla spiaggia con la parte posteriore, quindi balzò in avanti di slancio e si conficcò di muso in una grossa duna, dopo aver percorso diversi steli, lasciando un profondo solco dietro di sé.

Assaporammo il silenzio per un momento, guardando vorticare davanti a noi, in affascinanti mulinelli, detriti di tessuto alare misti a sabbia.
Il cristallo anteriore era andato in frantumi.

«Niente di rotto?» Indagai.
L'improvvisato copilota si guardò intorno. «Stai scherzando, spero!»
Possibile che prendesse sempre tutto alla lettera? «Intendevo: stai bene?»
«Lo so».
Mi strinsi nelle spalle, sganciai la cintura di sicurezza e mi alzai. Le mani mi tremavano per l'emozione.
«Te l'avevo detto: se ha le ali, posso farlo cadere.» scherzai.
«Non mi sembrava fosse proprio così, la frase!» ridacchiò il mio compagno.
«Vieni, andiamo a dare un'occhiata alla stiva.» gli proposi, soddisfatto di come non si fosse fatto prendere dal panico.

Per fortuna chi aveva disposto la merce sapeva il fatto suo: le casse erano state saldamente ancorate al pavimento, e soltanto alcune di quelle più vicine al punto d'impatto erano state danneggiate, disperdendo parte del proprio contenuto.

Tuttavia ero riuscito a salvare quasi tutto il carico, e il Coleottero, anche se ammaccato, era ancora intero.

Lo consideravo un vero successo, soprattutto visto che l'intero mio piano era basato... sulla follia.


SPAZIO AUTORE

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SPAZIO AUTORE

Rieccoci qui!

Sono costretto ad ammettere che Duncan ci sa proprio fare, con gli aerei. Certo, magari non tutti lo direbbero, considerato che ne ha schiantati tre in poco più di venti episodi... ma gli va comunque riconosciuto che almeno le prime due volte era a bordo di velivoli disarmati! No?

Ad ogni modo sono proprio contento di come si sono comportati: Takoda si è dimostrato un prezioso aiuto e, perfino mentre precipitava con un aereo mai pilotato prima, Duncan ha imparato un'altra importante lezione!

Sarà capace di vincere i pregiudizi ed aspettare a giudicare, in futuro? O rimarrà lo stesso bamboccione pieno di sé? :p

A presto con la seconda parte ;)

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