47. Chiar di luna

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DUNCAN

Il giorno dopo mi alzai più presto del solito, dopo una nottata segnata da numerosi incubi e continui risvegli. In uno, Winthrop era un gigante che mangiava i miei compagni e mi schiacciava sotto il tallone.
In un altro, ci intrufolavamo nell'Alveare, armi alla mano, solo per scoprire di essere entrati in un magazzino in disuso, nel quale finivamo tutti imprigionati. In un altro ancora, l'arma finale era talmente grande da oscurare il sole, e le Api pretendevano che gli venissero consegnate tutte le giovani vergini di ogni popolo, per spostarla.

Mi vestii in fretta ed uscii, nella speranza che l'aria fresca mi giovasse. Fui sorpreso quando non trovai la mia ombra ad attendermi: da quando si era ripreso, Håvard non mi aveva mollato di un granello.

Feci qualche passo poi, con un sorriso, decisi di approfittare di quella ritrovata solitudine e puntai con decisione la tenda di Ash.

Il trombettiere non aveva ancora suonato la sveglia, ma lei era già in piedi.
Fu sorpresa a sua volta di vedermi da solo.
«Dove hai lasciato la tua guardia del corpo?» chiese infatti, e soggiunse ridacchiando: «Non lo avrai narcotizzato, spero!»
«Non basterebbe una dose da Grilli per metterlo fuori combattimento!» esclamai di rimando.

Ci abbracciammo forte e per un attimo restammo semplicemente ad ascoltare i nostri profumi e il battito dei nostri cuori che si sincronizzava.
«Che ci fai in piedi a quest'ora, o grande leader?» mi canzonò lei, dopo un po'.
«Volevo fare una passeggiata, ma senza Håvard ho paura del buio.»
La ragazza fece un passo indietro, sguainò il pugnale e lo puntò verso il cielo. «Allora sarò io il vostro scudo, o mio generale!» proclamò, in tono teatrale.

Salutate le sentinelle, ci incamminammo lungo il limitare della vegetazione, in direzione del mare.

Percorremmo lo spazio che rimaneva sgombro dalle piante in modo naturale, una sorta di zona di transazione tra la fine dell'Immensità e l'inizio della Foresta di Spine, un sentiero naturale di terreno polveroso, ampio tra i tre e i quattro steli.

Fu un bel momento.

Per un po' chiacchierammo del più e del meno, addirittura spettegolando sulle abitudini curiose di questo o di quello. 
Ad un certo punto, però, la nostra attenzione venne richiamata da uno schianto secco, nella giungla alla nostra sinistra, seguito dal suono di rami spezzati. Una pianta, ormai appassita, doveva essere crollata. Con lei, sentii precipitare anche il mio buonumore e ogni residuo di leggerezza.

Ci guardammo: entrambi sapevamo cosa l'avesse uccisa. Quando sia Api che Formiche si accanivano sulla stessa pianta, privandola tanto del Nettare che della Linfa, questa finiva per morire.
Il nostro stile di vita, la nostra stessa società, sopravvivevano a scapito della natura.

«Come faremo, se vinciamo noi?» chiesi.
Lei capì cosa avevo nel cuore, come sempre. «Le alternative ci sono. Ora l'hai visto.»
Aveva ragione, naturalmente. Ma non ero certo che potessero produrre energia a sufficienza per soddisfare tutti i nostri bisogni.
«E se per qualcuno non dovesse essere abbastanza?» obiettai. «Forse non tutti saranno disposti a cambiare. Forse non tutti sapranno rinunciare a...» esitai, non sapevo come finire la frase.

E se avessimo vinto la guerra, solo per scoprire che il mondo che avevamo immaginato era solo un'utopia?

Ash mi prese per mano. «Fino a qualche settimana fa, nessuna Formica avrebbe mai pensato di poter vivere insieme a un'Idrometra, o a un Ragno. E di certo nessuna Farfalla avrebbe mai immaginato di lottare fianco a fianco con una Formica.»
«È vero, ma...»
«Non dire che sono due cose diverse. È la stessa cosa, e la affronteremo nello stesso modo: mostreremo loro che è possibile, e loro ci seguiranno.»

Il dominio delle Api [COMPLETO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora