14. La propria parte

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ASHLIE

Nel primo pomeriggio venne diramato un annuncio, in cui la presidente in persona chiese la collaborazione di tutti nel prepararsi a sostenere un attacco, forse perfino un'invasione.

Fu un discorso apparentemente molto sentito, a tratti perfino commovente, in cui Gwendolyn si appellò all'unità del nostro popolo e al suo spirito di gruppo.
Io trascorsi il resto del giorno vagando senza meta per il Formicaio, guardandomi attorno.
Come se qualcuno avesse girato un interruttore, la placida routine dei miei compatrioti si trasformò in una febbrile attività. Forse altre persone, in simili circostanze, avrebbero potuto cedere al panico o comunque dimostrare nervosismo. 

Ma non le Formiche.

La maggior parte di loro passava la prima metà della propria vita ad aspettare una "chiamata" che non arrivava mai, e la seconda a rammaricarsi perché non aveva avuto la possibilità di distinguersi e poter essere ricordata. In una comunità in cui venivano costantemente predicate l'uguaglianza e l'intercambiabilità tra i singoli, e che faceva di tutto perché nessuno si sentisse superiore agli altri, era comprensibile che la massima aspirazione della gente fosse quella di poter primeggiare tra tutti ed essere d'esempio.

Ora che questa possibilità era concreta, tutti facevano a gara nel darsi da fare, ognuno secondo le competenze che la Dirigenza gli aveva fornito.

Infatti solitamente erano gli insegnanti a stabilire il futuro di ogni abitante: chi meccanico, chi soldato, chi manutentore, e così via. Le materie che si studiavano negli anni conclusivi erano tremendamente settoriali e specifiche, e contribuivano a creare tecnici abili, ma che non sapevano niente altro del mondo circostante. Ad eccezione, ovviamente, delle miopi dottrine che venivano loro inculcate fin da bambini.
Il sistema scolastico del Formicaio, insomma, non era altro che uno strumento del regime, usato per trasformare le persone in automi obbedienti. Ognuna di loro era fiera di essere un minuscolo ingranaggio del formidabile marchingegno che, secondo i libri di testo, ci rendeva la società più evoluta dell'intero prato.

Non potevo perdonare mia madre per aver contribuito a sostenere questo sistema.

Nella nostra più accesa discussione - probabilmente anche l'ultima che avevamo avuto - lei aveva argomentato che semplicemente eravamo troppi perché a tutti potesse essere concesso di far di testa propria.
Una risposta che non potevo tollerare.

Non ricordo il momento preciso in cui avevo preso consapevolezza e assunto quello che lei definiva "un inaccettabile comportamento ribelle".
Effettivamente era piuttosto inconsueto che, alla mia età, io non avessi ancora completato il ciclo di studi che mi era stato assegnato: le mie coetanee stavano tutte facendo il praticantato.

Le donne erano per lo più contabili, infermiere, burocrati di qualche tipo. O insegnanti, come mia madre. A me invece piacevano le attività fisiche: ero alla pari con la maggior parte dei maschi in numerose discipline, come corsa, salto in alto e perfino lotta.
Sarei stata perfetta per l'esercito, non fosse stato per la mia naturale avversione per le regole e le imposizioni.

Non riuscire a trovare il mio posto nel mondo degli adulti non faceva altro che fomentare la mia rabbia. Col tempo, anziché limitarla a mia madre, avevo finito col rivolgerla verso tutto il mio popolo.

Forse era inevitabile che il mio amore si proiettasse verso l'esterno: avevo riversato troppo odio all'interno. Non riuscivo a provare attrazione, anzi, nemmeno rispetto verso quegli afidi ignari dei miei coetanei, che lasciavano prendere ad altri le decisioni sul loro futuro.

Duncan mi aveva affascinato perché, nonostante la società delle Api fosse rigida quasi quanto la nostra, aveva sgomitato e si era impegnato tutta la vita pur di raggiungere il suo sogno: volare. Aveva fatto dei sacrifici per conseguirlo, era stato disposto perfino a diventare un soldato, nonostante gli ordini e il rispetto dell'autorità gli andassero stretti.
Conosceva i compromessi e aveva un obiettivo che non perdeva mai di vista, che non gli era stato assegnato da qualcun altro, ma perseguiva con caparbietà per sua scelta.

Lo avevo ammirato da subito, forse perfino invidiato, perché nel mio voler essere anticonformista a tutti i costi, non avevo ancora scoperto il mio, di sogno.
Mi limitavo a essere "contro" a tutto, ma non avevo ancora deciso cosa volevo fare da grande, non avevo un progetto da seguire.
Mi riempivo la bocca con grandi discorsi sul mondo da cambiare e sul futuro da costruire, ma la verità era che, a parte proclamare a gran voce il mio dissenso, non ero stata in grado di fare granché.

Ora ero chiamata a fare la mia parte, a prendere il mio posto in un conflitto che mi avrebbe vista contrapposta alla persona che amavo.

E pensare che credevo sarebbe stato difficile il rapporto a distanza.

Il dominio delle Api [COMPLETO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora