32. Imprigionata

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ASHLIE

Per fortuna la cella non era completamente buia, altrimenti credo che sarei impazzita. Una sottile lama di luce filtrava attraverso l'interstizio tra la porta e il pavimento; una tenue luminosità soffusa proveniva anche dal condotto di aerazione, anche se era talmente debole che si riusciva a percepire solo quando gli occhi si erano completamente abituati all'oscurità. Il silenzio invece era assoluto: la pesante lastra d'acciaio che mi separava dal resto del mondo attenuava ogni suono e gli impediva di raggiungermi, al punto che lo scatto secco dello spioncino mi faceva trasalire ogni volta.

Il locale era più angusto di molti armadi per ricchi che avevo visto in fotografia. Lungo uno stelo e largo mezzo, era di liscio cemento grezzo che puzzava di candeggina: per mia fortuna, la mania per l'igiene delle Formiche era arrivata sino a lì.

L'unico arredo era un secchio in cui espletare le funzioni fisiologiche, che veniva svuotato con silenziosa efficienza ogni volta che mi portavano da mangiare.

I pasti, tutti uguali, consistevano in una razione militare e una bottiglietta d'acqua. Le guardie non parlavano mai: riportavano il secchio, vuoto e igienizzato, e aspettavano finché non rimandavo fuori il vassoio con la forchetta e i vuoti. Nessuno rispose ai miei tentativi di avviare una conversazione, e decisi di non scoprire cosa sarebbe successo se mi fossi rifiutata di restituire spontaneamente le stoviglie, nonostante ne avessi la tentazione pur di ritrovare un qualsiasi contatto umano, per quanto sgradevole.

Mi avevano tolto tutto, orologio e dispositivo personale compresi, e fatto indossare la divisa bianca dei carcerati. Non c'era quindi modo di tenere traccia delle ore che passavano, e ben presto persi la cognizione del tempo.

Inizialmente fui preda dello scoraggiamento: trascorrevo lunghi periodi piagnucolando seduta a terra con le ginocchia fra le braccia, e in quella stessa posizione mi addormentavo. Mi disperavo, chiedendomi se avrei mai più rivisto Duncan, Gawayn e le altre persone a cui mi ero affezionata. Se altri membri del nostro gruppo avessero subìto la mia stessa sorte o magari una ancora peggiore.

Ad un certo punto, però, destandomi di soprassalto da un orribile incubo, realizzai che dovevo assolutamente tenermi impegnata, se non volevo dare di matto.

Il sistema che tanto odiavo mi aveva rinchiuso in quel buco: non gliel'avrei data vinta, non avrei permesso che mi domasse così facilmente!

Cominciai ad allenarmi come non mai. Flessioni, addominali, sollevamenti sulle braccia, stretching e qualsiasi altro esercizio quello spazio angusto mi permettesse. Al contempo, cercavo di tenere attivo anche il cervello: recitavo le tabelline, ripetevo le lezioni di storia per quanto ricordavo, mi sfidavo a compiere calcoli a mente sempre più complessi senza perdere il ritmo degli esercizi fisici.

Quando ero stanca mi rannicchiavo nel mio angolino e dormivo.

Impossibile stabilire da quanto tempo fossi in galera o che momento del giorno fosse, quando ricevetti la prima visita. Aprendosi verso l'esterno, la porta inondò l'ambiente di luce, accecandomi al punto che fui costretta a farmi schermo con la mano; poi, pian piano, riuscii a mettere a fuoco l'imponente figura di un uomo. Riconobbi Tossina in quell'ombra prima ancora di poterne distinguere i lineamenti. A gambe larghe e braccia conserte, mi studiò a lungo in silenzio. Il suo occhio allenato valutò il mio stato, la mia postura, il mio sguardo.

«Certi spiriti non possono essere domati.» sentenziò infine. Non sapevo bene cosa rispondere, a dire la verità non ero nemmeno certa che quella constatazione fosse un complimento.
«Perché sei qui?» 
«So quello che hai fatto.»
Mi strinsi nelle spalle. «Bella forza! Ormai lo sapranno tutti.»
Un vago sorriso biancheggiò per un attimo nella penombra. «Intendo ciò che volevi fare davvero.» esitò un attimo, quindi soggiunse: «Ho parlato con Gawayn. E anche con Douglas.»
«Loro non c'entrano niente!» esclamai. «È stata una mia idea!»
«Un'idea folle.» commentò l'istruttore. «ma forse il mondo, per cambiare, ha bisogno di un po' di follia.»

Strabuzzai gli occhi: non mi aspettavo una simile apertura dal rigido ufficiale. Ma in fondo, in effetti, non sapevo molto di lui. «Non capisco bene cosa intendi dire.»
«Io credo di sì, invece.» mi assicurò lui, socchiudendo l'uscio dietro di sé, mentre si appoggiava con una spalla al muro. La sua carnagione era talmente scura che faticavo a distinguere le espressioni del volto.
«Dimmi, recluta... credi che possiamo sconfiggere le Api?»

Mi presi un momento per riflettere. «Non lo so.» ammisi infine. «Ma credo che, se continuiamo a contare solo sulla nostra capacità difensiva, prima o poi il nemico troverà il modo di eluderla: non esiste niente di davvero inespugnabile.»
«Esatto!» esclamò Tossina, battendo con violenza il pugno contro la parete. «E se anche riuscissimo a respingerli, cosa credi che succederebbe? Tra un anno, cinque o forse dieci, ci attaccheranno di nuovo, finché riusciranno a sterminarci o a ridurci in schiavitù!»

«Tu vuoi combattere.» 

Era un'affermazione, non una domanda, ma il soldato annuì ugualmente. «Voglio un futuro diverso da quello che ho appena descritto. Voglio essere libero, e vivere senza lo spauracchio della prossima battaglia.»
Mi sentivo gli occhi lucidi. «Anch'io.» mormorai, la voce rotta.
«Sei davvero pronta ad andare fino in fondo? A fare tutto ciò che sarà necessario?»
Non mostrai la minima esitazione. «Sì.»
«Allora, io ti darò le truppe per trasformare il sogno in realtà. Non resterai qui ancora a lungo: tieniti sempre pronta.»
Annuii con convinzione. 

Soddisfatto, il mio interlocutore fece per andarsene ma, prima di accomiatarsi, ristette ancora per un attimo sulla porta, quindi aggiunse: «Ogni esercito ha bisogno di un condottiero.»
«Ce l'abbiamo.»
Sbuffò. «Me ne hanno parlato. L'Ape.» Non fece nemmeno il tentativo di nascondere il proprio disprezzo.
«È un problema per te?»
Rifletté in silenzio per qualche istante. «No. Purché si dimostri all'altezza.»
«Lo sarà. Vedrai.»

Senza un'altra parola, se ne andò, chiudendo la porta e facendomi sprofondare nuovamente nel buio e nel silenzio.

Senza un'altra parola, se ne andò, chiudendo la porta e facendomi sprofondare nuovamente nel buio e nel silenzio

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SPAZIO AUTORE

Ci eravamo quasi scordati della povera Ash, vero?

Per fortuna, i suoi amici non hanno fatto altrettanto. Perfino quelli che non sapeva essere suoi amici.

La nostra eroina è una vera dura, e nemmeno la cella minuscola e la privazione sensoriale quasi totale sono riusciti ad aver ragione del suo carattere e della sua tempra!
Ora che sa di avere una possibilità, accettare la prigionia sarà più facile.

La prossima volta, messo a tacere il senso di colpa per aver lasciato la nostra rivoluzionaria a marcire in gattabuia, potremo dedicarci di nuovo ad Aracnìa... o almeno a quello che ne resta. XD

Scherzo!

Il dominio delle Api [COMPLETO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora