40. La cattedrale di Rovo (prima parte)

61 8 51
                                    

ASHLIE 

Tossina prese molto sul serio il discorso che avevamo fatto. Per prima cosa tolse le armi a tutti, e le ammassò nel cassone di uno degli Atta, del quale tenne le chiavi. Quindi chiamò a raccolta i gruppi misti appena formati e vi instillò un certo spirito di competizione, dicendo che ognuno sarebbe stato valutato, e che il modo in cui venivano portati a termine gli incarichi avrebbe determinato mansioni e responsabilità future di ognuno.

Già da quel primo giorno notai battibecchi e tafferugli; l'indomani una scazzottata finì col degenerare in una vera e propria rissa. Immediatamente chiamai a raccolta i miei fedelissimi affinché mi aiutassero a sedarla, quando il mio ex istruttore, che sembrava avere il superpotere di apparirmi alle spalle di soppiatto, mi agguantò per una spalla.

«Non ci pensare nemmeno.» intimò.
«Ma dobbiamo fermarli, prima che...»
Lui non mi permise di terminare la frase. «Che cosa credi che sia un uomo?» mi domandò.
Lo fissai inebetita, senza ben sapere cosa dire.
«A volte noi maschi abbiamo bisogno di confrontarci così, prima di poterci fidare l'uno dell'altro. Queste persone devono misurare le rispettive forze e determinazioni.»
«D'accordo, ma...»
«Abbi fede. Talvolta le amicizie più solide nascono proprio da contrasti simili.»

Anche se relativamente giovane, Tossina si occupava già da anni dell'addestramento reclute, ed era considerato uno dei migliori in assoluto, in quel campo. Insistere avrebbe significato una grave mancanza di fiducia, ed io avevo davvero necessità che lui continuasse ad appoggiarmi.
Mi limitai perciò ad annuire.

Quando credevo che la situazione fosse ormai irrecuperabile, egli irruppe in mezzo alla folla con il bastone da allenamento in pugno. Si portò un fischietto alle labbra e vi soffiò dentro a pieni polmoni. Nell'udirne il trillo, la maggior parte dei soldati si fermò, e anche molti civili, incuriositi. Chi ancora aveva voglia di menare le mani cambiò idea, dopo essersi buscato qualche legnata.

Ottenuta una parvenza di ordine, l'istruttore latrò: «in riga, babbei!»

Gli diede il tempo di eseguire, quindi li passò in rassegna: più di qualcuno perdeva sangue dal naso, dalla bocca o perfino da un sopracciglio.

«Forse vi sfugge una cosa, mandria di decerebrati: le valutazioni che riceverete saranno sulla vostra capacità di operare in quanto squadra!» fece una pausa, per permettergli di assimilare appieno la notizia, quindi riprese: «Ciò significa che finirete tutti insieme in prima linea per salvare il mondo... Oppure a svuotare le latrine di chi lo farà al vostro posto! E adesso sparite dalla mia vista.» concluse, gelido.

Il metodo Tossina si rivelò valido: da quel momento in poi, fu tutta discesa.

Se c'era una cosa in cui le Formiche eccellevano, era il duro lavoro. Ognuno si impegnò senza risparmiarsi, e le divisioni iniziali andarono a sparire, man mano che le persone imparavano a collaborare. 

Elphitephoros mise a nostra disposizione macchinari mai visti, ideati dai suoi tecnici, grazie ai quali risparmiammo un sacco di tempo.
Il primo era un mezzo cingolato circondato da una marea di lame e frese, che tagliava e macinava i rovi. Utilizzandolo, riuscimmo ad aprire un passaggio abbastanza grande per i veicoli in mezza giornata, allargando lo stretto cunicolo esistente.
L'altra macchina ci venne portata sopra a un grosso rimorchio. Era costituita da una grossa tramoggia che terminava in un corpo cilindrico, al cui interno il materiale inserito veniva sbriciolato fino a essere ridotto in una polvere finissima. Attraverso un nastro trasportatore, questo prodotto veniva trasferito ad una seconda camera, dove la sabbia fina veniva impastata con acqua, versata in appositi stampi e riscaldata per essere cotta. Alla fine si ritiravano dei mattoni d'argilla già pronti, più in fretta di quanto un'intera squadra di muratori esperti avrebbe mai potuto.

Al tramonto del giorno seguente, tutta la nostra roba - veicoli compresi - si trovava in quella che qualcuno aveva fantasiosamente ribattezzato "Cattedrale di Rovo"; una torre di vedetta in mattoni d'argilla sorvegliava l'ingresso del tunnel, ora percorribile dai mezzi. Le tende erano montate e agibili.

A quel punto, Tossina divise i nostri seguaci in due gruppi: per metà della giornata uno si dedicava a strappare nuovi spazi all'intrico dei rami, allargando la Cattedrale in previsione dell'arrivo del resto del nostro esercito, mentre l'altro si addestrava con lui. Dopo il pranzo, che consumavamo tutti assieme seduti a terra, i ruoli si invertivano.

Io trascorrevo il tempo libero facendo piani insieme a Douglas o chiacchierando con Ephitephoros. Trovavo il mercante molto interessante: si era rivelato essere un fine pensatore, oltre che un uomo di grande cultura, apparentemente erudito su qualsiasi argomento.

Gawayn, invece, non lo vedevo quasi mai: si era appiccicato come una ventosa al suo istruttore. A furia di averlo sempre intorno, e notata la sua perenne disponibilità, quest'ultimo aveva cominciato a fare affidamento su di lui, e lo trattava come un attendente, pur senza avergli mai conferito quel "titolo".

L'atteggiamento burbero e imperscrutabile dell'ufficiale non lasciava intuire nulla dei suoi pensieri, e io non potevo fare altro che ammirare la perseveranza del mio amico, e augurargli buona fortuna.

Il dominio delle Api [COMPLETO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora